Miliardi di euro sottratti al fisco (non solo italiano). Una società basata in Svizzera, usata per incassare i profitti realizzati in tutto il mondo grazie alle vendite di borse, cinture e gioielli. E una rete di manager con finte residenze, per pagare meno imposte sugli stipendi. Tutto per risparmiare, tutto per massimizzare i profitti. È stato questo per anni – almeno dal 2011 al 2017, secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza e della Procura di Milano – il “sistema Gucci”, la strategia messa in piedi dal magnate francese François-Henri Pinault (il 32esimo uomo più ricco al mondo secondo Forbes) e dal suo gruppo, Kering, per far aumentare esponenzialmente i margini di profitto del marchio d’eccellenza della casa, la storica maison toscana fondata a inizio ‘900 da Guccio Gucci.

Il Fatto Quotidiano, insieme al network di giornalismo investigativo Eic (European Investigative Collaborations), pubblica un’inchiesta sul taxgate di Gucci per raccontare cosa è successo dopo l’accordo tra Kering e l’Agenzia delle Entrate italiana del 2019, quando la multinazionale francese ha fatto sapere di aver pagato 1,25 miliardi di euro per chiudere il contenzioso su Gucci. È stata la più grande conciliazione fiscale mai raggiunta tra Roma e un’azienda privata, ma è stato in realtà solo l’inizio di una vicenda che ha portato a galla altri fatti inediti, in Italia ma non solo, sulla gestione fiscale dei marchi di Kering.

Oltre a Gucci, il gruppo di Pinault controlla tra gli altri Yves Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga (leggi), Alexander McQueen, Pomellato, Dodo. L’inchiesta ha permesso di scoprire che in Francia Yves Saint Laurent e Balenciaga hanno pagato nel 2020 una multa da 210 milioni di euro per chiudere un contenzioso con l’agenzia delle entrate locale. Lo schema era lo stesso usato in Italia. Come detto, Kering nel 2019 ha pagato al Fisco di Roma 1,25 miliardi di euro per sanare sette anni nei quali non ha versato imposte. Non gli è andata male: secondo i documenti analizzati da Eic, se avesse pagato le imposte in Italia in quegli anni la holding francese avrebbe dovuto versare 1,5 miliardi di euro. A questi si aggiungono i soldi che il gruppo avrebbe dovuto pagare per gli stipendi dei suoi manager di punta. I due uomini che negli ultimi anni si sono succeduti alla guida di Gucci, Patrizio Di Marco e Marco Bizzarri, hanno patteggiato pene per evasione fiscale. Le loro residenza svizzere, ha dimostrato la guardia di finanza, erano finte e venivano usate con l’unico scopo di non pagare imposte in Italia. Il meccanismo faceva guadagnare i manager, che grazie a un particolare regime fiscale offerto da Berna pagavano pochissime imposte, ma a risparmiare sul costo del lavoro era soprattutto Kering. Emblematico il caso di Bizzarri, attuale amministratore delegato di Gucci. Nel 2017, quando il meccanismo è stato scoperto dagli investigatori italiani e il manager ha sanato tutto con la voluntary disclosure, Kering gli ha pagato un super bonus da 40,6 milioni di euro.

VENERDI’ 18 FEBBRAIO L’INCHIESTA PROSEGUE SUL FATTO QUOTIDIANO IN EDICOLA

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