“Non mi permettono di incontrare mio figlio dalla terza settimana di novembre, si trova chiuso dentro una struttura residenziale per disabili in provincia di Milano, è autistico e non verbale. Sono disperata e la mia enorme preoccupazione è che possa essere sedato con l’uso massiccio di farmaci”. È il racconto di una madre terrorizzata quello raccolto da ilfattoquotidiano.it. Il figlio della signora è un ragazzo di 20 anni con autismo che non può comunicare a parole le sue ansie e paure e da oltre due mesi vede i suoi genitori per pochissimi minuti in video-chiamata per solo due volte a settimana quando va bene. Lei ha paura di ritorsioni e ha chiesto di venire protetta dall’anonimato. La Lega per i diritti delle persone con disabilità (LEDHA) sta raccogliendo in Lombardia diverse segnalazioni che riguardano persone con disabilità che hanno completato il ciclo vaccinale e che vivono in strutture residenziali alle quali viene impedito di ricevere le visite dei propri parenti o di uscire dai centri per le uscite stabilite. Una situazione drammatica che, nel caos della pandemia sta accomunando i genitori e i figli degli ultimi, dei più fragili, di quelli che non possono parlare o ricordare e sono rimasti soli con il loro abbandono da una parte e il senso di colpa dall’altra. E vivono nella paura, della solitudine e delle ritorsioni.

Riguarda infatti anche tutti gli anziani ospiti delle Rsa d’Italia, in buona parte affetti da demenza, che anche dopo la vaccinazione sono rimasti in balia dell’arbitrio del direttore sanitario di turno per potersi incontrare mezz’ora alla settimana in parlatorio quando andava bene. Mentre è stato vietato, e lo è tuttora nella maggior parte dei casi, di condividere spazi di vita. E così chi è rimasto dentro si sta spegnendo pian piano e a chi è fuori viene raccontato che con l’età il declino è inevitabile.

Una condizione da tempo nota alle autorità, ma mai davvero affrontata, con Roma che accusa le Regioni e le Regioni che si nascondono dietro Roma, mentre i gestori delle strutture sono impegnati a non affondare. LEDHA ha quindi deciso di farsene carico almeno per quanto riguarda la Lombardia e il 10 gennaio ha lanciato un appello per sbloccare questa situazione, chiedendo agli enti gestori dei servizi residenziali di garantire sia le uscite programmate degli ospiti sia le visite dei familiari rispettando quanto indicato da una circolare del 29 dicembre 2021 della Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia. L’appello non ha però sortito nessun effetto migliorativo, e così l’associazione a inizio febbraio ha anche scritto al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale segnalando “la situazione di sostanziale privazione della libertà personale a cui sono sottoposte le persone con disabilità che vivono nei servizi residenziali”. L’associazione ha chiesto al Garante di “monitorare la situazione divenuta inaccettabile”.

Contattata dal ilfattoquotidiano.it la segreteria dell’assessora al Welfare Letizia Moratti ha inviato una nota in cui assicura che “le ATS sono state invitate a relazionare puntualmente sulle modalità di verifica della corretta applicazione della circolare regionale” e “sia con attività di audit in corso, per verificare che le procedure adottate dai gestori contemplassero le visite parenti nell’arco di tutta la settimana, sia con attività di verifica con sopralluoghi nelle situazioni in cui vengono segnalate ​chiusure o eccessive ed ingiustificate restrizioni delle visite e delle uscite programmate”. Inoltre, continua la nota, “entro il mese di aprile 2022, le Unità di offerta sociosanitarie dovranno aver adottato almeno una delle seguenti misure: un questionario di gradimento anonimo da somministrare ai visitatori/familiari; il riconoscimento di un gruppo di familiari di ospiti, per condividere gli aspetti organizzativi delle regolamentazioni delle visite”. Nessun commento però sull’appello e la denuncia di LEDHA e sulle segnalazioni che continuano ad arrivare alle associazioni. In Lombardia ci sono circa 700 Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), poco meno di 100 Residenze sanitarie per disabili (Rsd) e circa 170 Comunità socio sanitarie (Css).

Il silenzio dei direttori sanitari – “L’isolamento dalla famiglia che sta subendo mio figlio, ospite di una struttura per disabili nel Milanese, è partito da quando è iniziata la pandemia nel 2020 e per tre volte ha subito un lunghissimo isolamento durato mesi”, racconta la mamma molto preoccupata per lo stato di salute del figlio: “Ci hanno detto dal centro che il direttore sanitario ha deciso di non permettere incontri con i parenti né le consuete uscite programmate nel weekend, ma quando riesco per pochissimi istanti a vedere in video-chiamata mio figlio percepisco nei suoi occhi sgomento e preoccupazione”.

Prima la struttura consentiva ai genitori di poter andare a prendere il ragazzo il sabato mattina e riportarlo al centro la domenica pomeriggio. “È dalla terza settimana di novembre che non mi fanno vedere di persona mio figlio, non ce lo hanno permesso neanche a Natale e Capodanno, nonostante lui in qualità di persona fragile sia stato tra i primi a essere vaccinato”, aggiunge la madre. Come motivano dalla struttura per disabili il divieto di incontrarvi? “Abbiamo mandato una mail anche al direttore sanitario della struttura chiedendogli spiegazioni ma non ha mai risposto. Quando parlo con gli operatori nessuno ci sa dire quando finalmente possiamo incontrarlo, è una sofferenza vivere cosi da mamma, immagino lui come persona rinchiusa da mesi contro la sua libera volontà”. La signora si dice “disperata” e “spero che la situazione si risolva il prima possibile, perché si smetta di costringere mio figlio autistico a subire questa grave forma di isolamento e lontananza dai suoi genitori. La mia preoccupazione”, conclude la madre, “è che possa essere sedato con l’uso massiccio di farmaci”. Come appunto accaduto in molte Rsa.

“Discriminazione nei confronti delle persone con disabilità”- “Il problema era già stato evidenziato a gennaio”, dice a ilfattoquotidiano.it Giovanni Merlo direttore generale di LEDHA, “dopo che abbiamo ricevuto una decina di segnalazioni, alcune molto gravi e non solo su Milano”. Merlo sottolinea comunque che “non tutte le strutture stanno creando problemi del genere ma è possibile che le famiglie non denuncino fatti del genere per timore di reazioni da parte delle strutture che ospitano i propri parenti”. E come dar loro torto con le notizie che arrivano ogni giorno da tutta Italia sulle carenze di personale nelle strutture che si mescolano a quelle sugli scandali internazionali che riguardano multinazionali francesi molto presenti anche in Italia.

A inizio anno l’associazione aveva chiesto ai gestori delle Unità di offerta l’applicazione di quanto previsto dalla circolare di Regione Lombardia, che evidenziava l’importanza di mantenere attivi canali di relazione e di vita sociale per la salvaguardia del benessere e della salute delle persone con disabilità. “Una scelta difensiva di totale chiusura delle strutture residenziali avviata in coincidenza delle festività natalizie, prosegue ancora oggi e ha fatto ritornare, con l’aumento dei contagi dovuti alla variante Omicron – dichiara la LEDHA – queste strutture in una situazione molto simile al lockdown vissuto dalle persone con disabilità tra il 2020 e il 2021, che si è protratto però ben oltre quello a cui è stata sottoposta la popolazione generale”.

Viste le diverse segnalazioni ricevute di recente, i problemi purtroppo permangono. “Si tratta”, afferma il presidente di LEDHA Alessandro Manfredi, “dell’ennesima situazione di discriminazione a danno delle persone con disabilità”. Va ricordato aggiunge Manfredi che “le persone disabili che vivono nei servizi residenziali hanno, nella quasi totalità, completato da tempo il ciclo vaccinale. Nonostante questo, al contrario del resto della popolazione, sono di fatto segregate nelle strutture che dovrebbero invece garantire loro il sostegno per vivere nella società e impedire che siano isolate o vittime di discriminazione”.

Le segnalazioni che l’associazione sta raccogliendo raccontano di episodi di “reclusione forzata”, date le misure previste a livello nazionale e le normative regionali che consentono invece uscite programmate e incontri con i parenti. “Siamo in presenza – conclude LEDHA – di evidenti discriminazioni. Al resto della popolazione, ad esempio gli alunni con disabilità che frequentano la scuola, non vengono imposte limitazioni neanche lontanamente paragonabili a quelle riservare alle persone fragili che vivono nei servizi residenziali. Continueremo a operare per contrastare la segregazione delle persone con disabilità”.

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