Sono passati quasi due mesi da quell’Aula di Montecitorio rimasta deserta. Scranni vuoti o quasi, con soltanto 25 deputati a discutere, dopo anni di attesa, su un testo sul suicidio assistito già annacquato dopo i lavori in commissione, con i nodi principali ancora irrisolti. Poi il dibattito era stato subito rinviato, senza intese tra schieramenti, tra l’ostracismo delle destre (di governo e d’opposizione), le resistenze trasversali nei partiti, i silenzi e i timori tra centrosinistra e M5s. E le scadenze imminenti della legge di bilancio prima e dell’elezione del presidente della Repubblica poi. Conclusa la partita del Colle, tra coalizioni deflagrate nel segreto dell’urna e polemiche tra e dentro i partiti, ora in Parlamento riprende pure l’iter della proposta di legge sul fine vita, in un clima rovente e con il governo che non intende metterci la faccia e che si rimetterà all’Aula. Tutto a distanza di una settimana da un’altra data decisiva, quella del 15 febbraio, quando sarà la Corte costituzionale a discutere dell’ammissibilità del quesito referendario sull’eutanasia legale (così come su cannabis e giustizia, ndr), dopo la vittoria raggiunta delle oltre un milione e 235mila firme raccolte e depositate in Cassazione, grazie a una mobilitazione senza precedenti, in tre mesi, che aveva consentito di superare (e non di poco) la soglia minima delle 500mila sottoscrizioni, nonostante il disimpegno dei maggiori partiti.

In Aula si riprenderà invece mercoledì pomeriggio, con un breve slittamento sui tempi, “dovuto a una questione personale del relatore Bazoli”, ha precisato il pentastellato Nicola Provenza, relatore del provvedimento insieme al deputato Pd Alfredo Bazoli. E gli emendamenti depositati sono già oltre 200: gran parte arrivano dalle forze di centrodestra – Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e centristi di Cambiamo-Coraggio Italia e Noi con l’Italia), pronti a dare battaglia per restringere le condizioni di accesso. Sul fronte opposto, altri sono stati presentati da Nicola Fratoianni (Si), ex M5s come Doriana Sarli e dal radicale Riccardo Magi (+Europa), che rivendica interventi migliorativi affinché si superi l’impianto uscito dalla commissione, considerato ancora “fortemente inadeguato”.

Un giudizio condiviso anche dalla stessa associazione Luca Coscioni, protagonista della partita referendaria, che ha più volte richiesto modifiche affinché si evitino ulteriori discriminazioni: “Senza miglioramenti la legge rischia di essere dannosa, oltre che inutile”, aveva avvertito il tesoriere Marco Cappato, che a Ilfattoquotidiano.it ora spiega: “Bisogna eliminare quelle condizioni più restrittive rispetto a quanto già deciso dalla sentenza della Consulta (sul caso di Dj Fabo, ndr) che ha già valore di legge. E non può esserci un meccanismo rigido di obiezione di coscienza che rischia di portare a una paralisi della struttura sanitaria, che invece deve essere obbligata a rispettare le volontà del malato. Ma soprattutto, affinché la legge sia utile, deve essere emendata con l’introduzione di scadenze precise per la risposta ai malati e l’estensione del diritto all’aiuto al morire anche a chi non è tenuto in vita da trattamenti sanitari, ma che è ugualmente in condizioni di sofferenza insopportabile e malattia irreversibile, come per i malati di cancro”.

Anche perché, senza scadenze precise, si ripeterebbe quanto già avvenuto nelle Marche, dove, per la seconda volta in 7 mesi dal caso di ‘Mario’ (nome di fantasia), i giudici del Tribunale di Ancona hanno emesso un’ordinanza in cui si ordina all’Asur di valutare le effettive condizioni di salute di ‘Antonio’, anche lui tetraplegico, che il 18 gennaio scorso ha richiesto l’accesso al suicidio assistito. “Le visite al malato che fa richiesta di essere aiutato a morire vanno fatte subito. Il comitato etico deve riunirsi e dare subito il suo parere”, precisa quindi Cappato. Tradotto, per essere utile, la legge deve andare oltre quanto già previsto dalle sentenze.

Di parere contrario il centrodestra, Lega in primis, che punta ad affossare la legge, anche nella versione annacquata uscita dal lavoro in commissione. Venti sono invece gli emendamenti presentati da Riccardo Magi alla Camera, nel tentativo opposto di migliorare l’impianto normativo: “La legge di iniziativa popolare è rimasta ferma per 8 anni, al di là anche della richiesta della Corte di legiferare, invano. Poi in commissione si è lavorato in modo sbrigativo, senza affrontare quei nodi divisivi tra gli schieramenti”, anticipa Magi. Tra le modifiche proposte ci sono quelle che riguardano il percorso delle cure palliative, la certezza dei tempi e il nodo dell’obiezione di coscienza. Ma non solo: “Nel testo base c’è scritto che per accedere al suicidio assistito la condizione è quella di essere coinvolti in un percorso di cure palliative. Ma la formula usata, dovuta al compromesso trovato con il centrodestra, è ambigua: significa che devi averle fatte? Per noi basta essere informati ed eventualmente averle anche rifiutate”, sottolinea il deputato radicale e di +Europa. E ancora: “All’art.5. comma 2 si chiede al medico che deve certificare le condizioni sociali familiari. O meglio, si chiede che ci siano due medici a certificarle, curante e specialista. Ma questi non sono loro compiti. E anche sull’obiezione di coscienza c’è il rischio, come avviene già sull’aborto in molte Regioni italiane, di pregiudicare la possibilità di accesso”, aggiunge.

Tradotto, secondo Magi il testo “è scritto male” e rischia di “trasformarsi in un imbuto, un nuovo calvario burocratico” per i malati. Ma soprattutto c’è il pericolo che si voglia utilizzare la partita, magari con una approvazione in prima lettura a Montecitorio, per “interferire o peggio depotenziare politicamente il referendum”. Un sospetto condiviso dall’associazione Coscioni: “Vedendo la fretta avuta, prima dell’udienza della Consulta, assomiglia a un messaggio politico: ‘Guardate che noi ce ne stiamo occupando’. Senza garanzie poi che questo percorso si concluda davvero. Di certo, l’idea che si possa disinnescare il referendum in molti c’è”, concorda Cappato. Perché “basta leggere le parole del dem Bazoli riportate dai media, quando parla di ‘legge come unica alternativa alla deriva del referendum radicale’. Sono parole gravi, una pressione politica sulla Consulta. Ma io non so quanti elettori dem o M5s possano condividere la strategia di far fallire il referendum. E a loro ci rivolgiamo”, è l’appello.

La speranza che in Aula però la legge si possa migliorare resta, al di là delle barricate annunciate dai partiti di Salvini e Meloni: “Non voglio essere pessimista, ogni strada va percorsa. Certo, di fronte a una crisi di sistema, bisogna che questo sistema sia cambiato. Ma possono cambiarlo gli stessi responsabili, questo ceto politico, questi stessi leader, senza un forte coinvolgimento popolare? Anche per questo serve una primavera referendaria”, continua Cappato.

In un’Aula uscita a pezzi, divisa e frammentata, dalla partita del Quirinale, il rischio è poi legato ai voti segreti durante l’esame delle legge: “Sarà difficile sciogliere quei nodi che non si sono voluti affrontare in commissione. Vedremo quale sarà l’atteggiamento delle destre, se ci sarà ostruzionismo. Il pericolo è che finisca come in Senato per la legge contro l’omotransfobia, che ci sia un bis dell’affossamento del Ddl Zan, nel segreto dell’urna. Sarebbe un messaggio politico devastante di fronte ai cittadini”, condivide Magi. Anche perché, spiega, nemmeno il centrosinistra sembra crederci davvero: “Lasciare un testo in balia dell’Aula, in un momento di grave confusione politica, mi lascia perplesso su quale sia davvero la strategia, al di là dei silenzi dei leader. E un accordo con il centrodestra non si può fare mollando su tutti i punti”. E mentre in Aula riprende la partita, l’attenzione, però è già rivolta verso la Consulta: “Il referendum deve poter essere votato e riteniamo debba essere ammesso. C’è in gioco la stessa credibilità delle istituzioni democratiche”, concludono dall’associazione Coscioni.

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