La battaglia si gioca ancora a livello diplomatico, anche se l’incessante spiegamento di truppe russe vicino al confine e l’invio quotidiano di armamenti americani e britannici verso Kiev non promettono un futuro tranquillo. Ma c’è una guerra più intestina e silenziosa che in Ucraina si combatte ogni giorno. È la più subdola, perché sgretola amicizie, famiglie e mina l’equilibrio sociale. È quella che contrappone chi guarda a Occidente, all’Europa, alle libertà individuali, e chi, nonostante tutto, si sente ancora parte di un microcosmo (post) sovietico.

Kharkiv, la seconda città di un Paese grande il doppio dell’Italia, ne è l’esempio più lampante. Industriale, operosa, un milione e mezzo di abitanti di cui 100mila studenti universitari, ma così pericolosamente vicina alla frontiera. E oggi, più che mai, in balia dei venti di guerra esterni e di una contrapposizione interna fra chi si sente orgogliosamente ucraino e chi strizza l’occhio alla Russia.

“Non so se Mosca deciderà di attaccarci – confessa a Ilfattoquotidiano.it Sasha, 60 anni, che ogni mattina, nonostante i 10 gradi sotto zero di questo gelido fine gennaio, se ne sta nel tendone di ploshchad Svoboda (piazza Libertà) a raccogliere assieme ad altri commilitoni aiuti e medicinali da inviare ai militari di Kiev sul fronte del Donbass – Ma se lo facessero, qui a Kharkiv è già pronto il piano di resistenza e contrattacco”. Nei territori orientali in mano ai separatisti il conflitto, che va avanti da otto anni, ha già causato 14mila vittime, ma se Putin dovesse preparare un’invasione massiccia, il bilancio diventerebbe drammaticamente più pesante. “Le relazioni con la Russia non saranno mai più quelle di prima – continua il volontario – e se vorranno la guerra totale, saremo pronti a combattere”. Tutti? Non proprio. “Il 50% dei nostri concittadini si immolerebbe per la nostra sovranità ma l’altra metà appoggerebbe il nemico. È triste, ma è così”. Quel poco che resta di unità nazionale, insomma, è appeso a un filo.

In caso di escalation, Kharkiv sarebbe la prima grande città a farne le spese. Il confine dista 40 chilometri e oltre che da est le armate di Mosca potrebbero facilmente entrare da sud, proprio dalle regioni occupate di Donetsk e Lugansk. Ma oltre all’insidia esterna, a preoccupare, appunto, è lo stesso tessuto sociale di questa metropoli. I più giovani e i più istruiti stanno con Kiev, anziani, pensionati e fasce meno abbienti sono schierate dall’altra parte. Il conflitto è quotidiano fra amici, in famiglia, al lavoro. A Kharkiv la stragrande maggioranza parla russo, molte famiglie hanno parenti di là dal confine, altrettante sono state “invitate” a trasferirsi nell’Ucraina orientale durante gli anni dell’Unione Sovietica, proprio per scongiurare derive nazionaliste. Le strade sono tappezzate di richiami alle armi per quei giovani che volessero accedere alla carriera militare. A scuola, in tv e in tutti gli spazi pubblici è ormai obbligatorio esprimersi in lingua ucraina ma la città rimane divisa.

“Paura? Di cosa?”, risponde laconica Olga, estetista in Sumskaya, la principale via dello shopping. “I russi non ci invaderanno, è il nostro governo filo-occidentale che ha costruito tutta questa retorica ed è Kiev che con le sue mosse nazionaliste ha aizzato gli animi dopo il colpo di Stato del 2014. Dai russi non abbiamo nulla da temere”. Di certo, anche per Putin non sarebbe una passeggiata: nel 2014 l’esercito ucraino era debole, impreparato e corrotto e non mosse un dito contro l’annessione della Crimea. Oggi la situazione è diversa. Americani e britannici stanno armando pesantemente Kiev che adesso dispone di truppe più professionali e di dotazioni militari per resistere a lungo. Ma l’Ucraina deve vincere prima di tutto un’altra battaglia, che è forse la più difficile: quella dell’unità interna. Una guerra civile nell’Est disintegrerebbe il Paese.

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