Il Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia, nella seconda parte del 2022, potrebbe cambiare. È stato il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, nel pieno delle votazioni per il Colle e mentre Bruxelles auspica “continuità” per garantire che le risorse europee siano ben spese, a mettere ufficialmente sul tavolo l’ipotesi che fino ad ora era solo un rumor. A determinare la revisione, ha spiegato intervenendo martedì a un convegno organizzato dal Cnel, sarebbe l’aumento dei prezzi delle materie prime, che potrebbe mettere in difficoltà gli appaltatori nel rispettare le scadenze sui 100 tra milestone e target previsti dal governo per quest’anno e impedire tout court di realizzare tutte le opere previste.

Formalmente, in effetti, il regolamento europeo sul Next generation Eu consente ai Paesi di fare modifiche ma solo se ci sono “circostanze oggettive” che lo giustifichino. E la strada è tutt’altro che in discesa: servirebbe una nuova approvazione da parte della Commissione e, dopo due mesi, del Consiglio Ue. Nel pomeriggio un portavoce della Commissione ha specificato non a caso che il cambio in cora è possibile solo “in casi eccezionali” e “lo Stato deve dimostrare che non può più attuare il Piano o parte di esso a causa di circostanze oggettive”. La richiesta fa scattare “una rigorosa valutazione, caso per caso”. Al momento, va ricordato, è ancora sub iudice la richiesta di pagamento arrivata da Roma per la prima tranche da 24 miliardi.

Lo stesso Giovannini, intervistato dal Corriere della Sera, era del restp sembrato frenare: “Come il resto del bilancio europeo, il Next generation già contiene un meccanismo automatico di revisione annuale delle risorse legato all’inflazione, con un tetto del 2%. Inoltre, se ricorrono condizioni eccezionali, il Consiglio europeo può valutare entro il 2022 eventuali proposte di revisione dei Pnrr nazionali. Vedremo come andrà nei prossimi mesi, ma va ricordato che il fenomeno di cui parliamo non riguarda solo l’Italia, perché l’aumento dei prezzi delle materie prime per le costruzioni, dal ferro all’acciaio al legno, è un fenomeno internazionale. Infine, per quanto riguarda l’Italia, accanto al Pnrr il governo ha previsto un piano complementare finanziato con risorse nazionali, oltre alle poste già previste nelle leggi di Bilancio per gli investimenti. In caso di necessità, quindi, si sono i margini per valutare come intervenire”. Insomma: se la strada della modifica si rivelasse sbarrata ci sarebbero alternative.

Intanto l’associazione dei costruttori Ance è sul piede di guerra perché ritiene del tutto insufficiente il meccanismo di compensazione per i rincari inserito nel decreto varato dal ministero a novembre. Contro il provvedimento, scrive Il Sole 24 Ore, è stato presentato ricorso al Tar lamentando che riconosce solo il 35% dei maggiori costi sostenuti. Il decreto Sostegni ter della scorsa settimana prevede altri interventi, ma il testo è ancora fantasma. “Interveniamo su due aspetti”, dice il ministro. “Innanzitutto i prezzi a base d’asta. La norma prevede che l’Istat faccia una rilevazione dei prezzi dei materiali e che, entro aprile, previo accordo con la conferenza delle Regioni, emani linee guida sulla definizione dei prezziari regionali. Il secondo prevede un meccanismo di aggiustamento dei prezzi in corso d’opera molto meno penalizzante per le imprese. Oggi l’aumento dei prezzi è assorbito fino al 10% dalla stessa impresa e per l’eventuale parte eccedente lo Stato interviene riconoscendo solo la metà. Ora col decreto questi parametri vengono rivisti a favore delle imprese“. Come? “Lo stiamo definendo in queste ore. La franchigia a carico delle imprese si riduce in modo consistente. E per l’eventuale parte eccedente la stazione appaltante assorbirà una quota dell’aumento nettamente più alta. Inoltre, il meccanismo di revisione prezzi va specificato in ogni bando, cosa oggi facoltativa”.

Queste norme varranno anche per le gare avviate nel 2022 e si farà ricorso a voci di bilancio esistenti, che verranno potenziate se necessario. L’Ance però avrebbe voluto un meccanismo strutturale di adeguamento dei prezzi. “Per ora interveniamo con un netto miglioramento delle norme a favore delle imprese”, risponde Giovannini. “E contiamo di riesaminare la questione con la legge delega sulla revisione del Codice dei contratti, entro giugno. Ma non è detto che i prezzi continuino ad aumentare a questi ritmi o restino ai livelli attuali”.

Mentre a Bruxelles c’è il timore che all’elezione del capo dello Stato segua un periodo di stallo politico e di governo, sotto la lente sono finiti anche i conti pubblici. La Commissione ha inviato “una nota di cautela” in merito all’aumento della spesa corrente ai governi di tre Stati membri: Italia, Lettonia e Lituania. “Le misure di supporto siano temporanee e mirate e non lascino un onere permanente sulle finanze pubbliche e ciò particolarmente rilevante per gli Stati membri fortemente indebitati”, ha avvertito il vice presidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis confermando, tra l’altro, che nonostante la nuova ondata di contagi e di misure restrittive la clausola di salvaguarda del Patto di Stabilità si chiuderà nel 2023. La partita per la revisione è la più importante dei prossimi mesi ed è cruciale che l’Italia partecipi con un peso politico non scalfito.

Articolo Precedente

Recovery, la crociata del Veneto sui fondi per la rigenerazione urbana: “Troppo sbilanciati a favore del Sud, penalizzati i Comuni virtuosi”

next
Articolo Successivo

Recovery plan, il governo promette ai Comuni del Nord 905 milioni per “ripescare” i loro progetti di rigenerazione urbana

next