Sono settimane di tensione in Sudan. Da quando il generale Abdel Fattah al-Burhan ha compiuto il colpo di stato lo scorso 25 ottobre, il Paese continua a vivere giornate di violenza. Lunedì 17 gennaio per la prima volta, secondo quanto riferiscono media locali, le forze di sicurezza hanno mostrato armi pesanti come le mitragliatrici montate su veicoli. Nella capitale Khartoum migliaia di manifestanti sono scesi nelle piazze per contestare il colpo di stato militare e chiedere la transizione verso un governo civile. Per disperdere i presenti, che hanno aggirato i controlli, sono stati impiegati anche cannoni ad acqua, lacrimogeni e bombe assordanti. Secondo quanto riportano alcuni attivisti, i militari hanno aperto anche il fuoco con proiettili veri sui dimostranti, uccidendo almeno 7 persone e ferendone più di 100. Salgono quindi a 71 i decessi dall’inizio delle proteste.

Le proteste non si sono limitate alla sola capitale: a Madani, 200 chilometri a sud di Khartoum, “circa 2mila manifestanti marciano al grido di ‘vogliamo solo civili al potere'”, riferiscono alcuni media locali. Le forze di sicurezza, pur presenti a Khartoum e agglomerati limitrofi, per la prima volta non stanno bloccando tutti i ponti che collegano la capitale sudanese alle sue periferie sull’altra sponda del Nilo. In uno di questi agglomerati, Omdurman, i manifestanti hanno bruciato pneumatici e allestito barricate per bloccare le strade, ha riferito un testimone.

Gli Stati Uniti si sono dichiarati “preoccupati per le notizie su un’escalation di violenze contro i manifestanti in Sudan” e per questo due loro inviati, l’assistente del Segretario di stato Molly Phee e l’inviato speciale per il Corno d’Africa, David Satterfield, “sono diretti a Khartoum e ribadiranno il nostro appello alle forze di sicurezza per porre fine alla violenza e rispettare la libertà di espressione e di riunione pacifica”. Lo ha scritto su Twitter il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price. L’Onu, dal canto suo, sta cercando di organizzare un dialogo per rilanciare una transizione verso la democrazia.

L’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, spiega in una nota che “l’Unione europea ha sostenuto fin dall’inizio le aspirazioni democratiche del popolo sudanese e lo farà in futuro con tutti i mezzi a sua disposizione. Invitiamo le autorità militari a compiere i loro massimi sforzi per allentare le tensioni. È essenziale evitare ulteriori perdite di vite umane”. “Le autorità militari hanno limitato la libertà di espressione e la libertà di associazione dal colpo di stato dell’anno scorso – si legge ancora nella nota -. La libertà di espressione e di informazione sono diritti fondamentali che devono essere garantiti. La democrazia, che le autorità militari pretendono di costruire, non può esistere senza la libertà dei media. Attraverso l’uso sproporzionato della forza e la detenzione continua di attivisti e giornalisti, le autorità militari stanno dimostrando di non essere pronte a trovare una soluzione negoziata e pacifica alla crisi. La violenza contro i civili e la detenzione continua di attivisti e giornalisti mettono il Sudan su un percorso pericoloso lontano dalla pace e dalla stabilità e compromettono l’opportunità di una soluzione pacifica che le consultazioni guidate dall’Unitams (la missione dell’Onu di assistenza alla transizione democratica) potrebbero portare”.