In Repubblica Dominicana il mese di dicembre non è stato permeato dal clima natalizio, almeno non per gli haitiani vittime di una vera e propria “caccia all’uomo” per essere deportati. Durante tutto il 2021, Luis Abinader (Presidente della Rep. Dominicana) non ha mostrato nessuna compassione per le sorti degli abitanti del vicino paese caraibico e ha messo in atto misure estremamente dure che mirano a eradicare “il problema migratorio haitiano”.

Haiti però sta vivendo un nuovo zenit di una crisi politica, sociale ed economica che dura da anni (ricordiamo l’uccisione del presidente Jovenel Moise a luglio e l’attentato subito dal presidente interino Ariel Henry pochi giorni fa), e questo ha favorito una nuova e imponente ondata migratoria verso la vicina Repubblica Dominicana.

Per far fronte a ciò, da un lato Abinader ha dato il via alla costruzione di un muro sulla frontiera, progetto annunciato nel 2020 e iniziato nel 2021. Un muro che dovrebbe mettere “in sicurezza” i 373 km di confine e che costerà secondo le prime stime circa 100 milioni di dollari. Dall’altro ha dato il via ad una politica di deportazione massiva e indiscriminata, attuata senza nessun rispetto per i diritti umani fondamentali delle persone oggetto di tali pratiche abusive. Nel 2021 le stime del governo dominicano parlavano di circa 500.000 haitiani in situazione migratoria irregolare nel paese e sempre secondo fonti statali, a fine anno, sono state deportate circa 32.000 persone: quasi il 35% in più del 2020.

Ma come vengono “catturati” e deportati gli haitiani che vivono e lavorano in Repubblica Dominicana in situazione irregolare? Uno dei casi più emblematici è stato raccontato a fine dicembre sui media italiani dall’antropologo e saggista Raúl Zecca Castel, particolarmente esperto del contesto dominicano. Zecca Castel ha posto l’accento e denunciato l’odissea delle donne migranti haitiane in Repubblica Dominicana, un altro aspetto drammatico della deriva autoritaria del governo di Abinader.

L’antropologo ha spiegato che il governo dominicano ha deciso infatti di impedire alle donne haitiane incinte (da sei mesi di gravidanza in poi) di attraversare il confine, invitando allo stesso tempo anche il personale medico e le strutture sanitarie del paese a non accogliere e/o assistere queste donne prive di documenti. L’ordine dei medici si è opposto allegando ragioni deontologiche e così a quel punto Abinader ha schierato le forze dell’ordine, polizia migratoria in testa, per andare ad arrestare e prelevare dagli ospedali le donne incinte (o che avevano appena partorito), portandole nei centri di detenzione temporanei dai quali poi poterle deportare oltre il confine.

Le reazioni critiche dell’Onu e della Cidh – Commissione Interamericana dei diritti umani – non si sono fatte attendere e anche all’interno del paese i movimenti sociali hanno cercato di far sentire la loro voce di protesta e indignazione. Luis Abinader, in carica dal 16 agosto 2016 ed esponente del partito di centro destra Partido Revolucionario Moderno-PRM, continua però con il “pugno duro” promovendo questa e altre attività di “controllo migratorio” come quella della “camiona”. Questo infatti è il nome che colloquialmente viene dato ad un bus scolastico giallo (stile Usa), modificato e riqualificato per essere una vera e propria prigione su ruote, che percorre il paese “a caccia di migranti haitiani”. Ogni mattina alle 6 questo grottesco bus, che reca la scritta della Dirección General de Migración (DGM), si mette in marcia preceduto da un jeep dalla polizia.

Alla vista della “camiona” i migranti in situazione irregolare provano a darsi alla fuga ma pochi riescono nell’impresa. Gli agenti della polizia migratoria li arrestano, legano le loro mani e li fanno salire sul bus-carcere, pronti per essere deportati. Nessuna scusa vale, nessuna preghiera, nessun tentativo di persuasione. I familiari, amici e colleghi dei malcapitati nella maggior parte dei casi non sapranno più niente di loro fino a quando non saranno già dall’altra parte della frontiera. Alle volte la “camiona” si ferma fuori dai centri di salute e accade quello che abbiamo raccontato in precedenza: le donne incinte o che hanno appena partorito vengono caricate sul bus, stipate come bestie, pronte per essere “rispedite indietro”.

Per capire questo contesto è pero necessario fare un passo indietro e parlare di cosa è successo nel 2013. Sempre Raúl Zecca Castel ha spiegato che “l’irregolarità degli immigrati haitiani è abbastanza fittizia, giacché nel 2013 una sentenza costituzionale ha revocato la nazionalità dominicana a oltre 200mila persone nate sul territorio nazionale ma da genitori stranieri: per lo più haitiani. L’applicazione retroattiva di questa sentenza ha colpito una serie di cittadini dominicani (di origine haitiana) che da un giorno all’altro si sono visti togliere la nazionalità diventando ‘migranti irregolari’: oggetto quindi delle politiche antimigratorie promosse da Abinader”.

Sempre Zecca Castel ha sottolineato che da un lato la destra al potere in Rep. Dominicana fa demagogia attraverso queste politiche antimigratorie, militarizzando le frontiere e dando il via a iniziative come quelle della “camiona”, ma dall’altro lo sfruttamento della manodopera haitiana “irregolare” e a basso costo rappresenta una dei pilastri dell’economia dominicana. Una contraddizione che conosciamo molto bene anche nel nostro Bel Paese…

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