L’occupazione sembra non aver risentito della crisi pandemica in Spagna. I numeri pubblicati dal ministero del Lavoro sono incoraggianti: nel 2021 i nuovi contratti sono stati 776.478, mai così tanti dal 2005, quando il governo regolarizzò le persone immigrate che stavano già lavorando. Rispetto a febbraio 2020, l’ultimo mese pre Covid, i lavoratori sono quasi 600mila in più, e sfiorano quota 20 milioni, con una crescita dell’occupazione femminile di quasi il 5%. “I dati riflettono l’avanzamento della ripartenza. Non ci fermiamo. Lavoriamo per combattere la precarietà e continuare a creare impieghi di qualità”, ha detto il premier Pedro Sánchez, consapevole del problema rappresentato dai contratti a tempo determinato, il 26% del totale.

Dicembre, il mese tradizionalmente più proficuo per l’occupazione, ha consacrato l’andamento positivo con nuove assunzioni grazie all’aumento dei consumi. Ma soprattutto ha confermato il declino dei disoccupati iniziato 10 mesi fa, stabilendo il record da dicembre 2007: -76.782. Una ripresa sorprendente se si considera che le persone senza lavoro sono scese di quasi un milione da quella che El Paìs ha definito “la primavera nera” del 2020.

Molti fattori stanno contribuendo al rilancio spagnolo, tra cui l’eliminazione di gran parte restrizioni, l’avanzamento della campagna vaccinale e il grande aumento dei consumi. Lo scorso anno, inoltre, una sentenza del Tribunale Supremo ha aperto le porte alla regolarizzazione di migliaia di stranieri che risiedono in Spagna da più di due anni e hanno lavorato nel Paese per almeno sei mesi. A ottobre è stato il turno dei minori e giovani stranieri tra i 16 e i 23 anni, arrivati spesso soli e in gran numero sulla penisola iberica.

Alcuni settori sono ripartiti meglio di altri. La crisi del covid ha portato a 150mila nuove assunzioni nella salute e nei servizi sociali, con una crescita di quasi il 10% rispetto alla fase prepandemica. 84mila sono invece i nuovi lavoratori dei servizi amministrativi e ausiliari mentre la ristorazione e il turismo crescono velocemente ma sono ancora lontani dai livelli di febbraio 2020. Questi ultimi due sono i settori che accumulano più casse integrazioni, i cosiddetti ERTE, quasi la metà del totale.

Gli ERTE sono forse il dato più rassicurante. Durante la primavera nera del 2020 erano oltre 3,6 milioni, oggi solo 102mila e alcuni non sono neanche legati al covid, come nel caso degli abitanti dell’isola canaria di La Palma che hanno sofferto le conseguenze della lunga eruzione vulcanica. Con gli aiuti economici, il governo di Pedro Sánchez ci ha messo una pezza e prevede di migliorare ulteriormente la situazione grazie ai fondi europei. Nel Recovery Plan approvato da Bruxelles si parla di 72 miliardi di euro dedicati allo sviluppo di progetti sulla transizione ecologica e il digitale che dovrebbero creare 800mila nuovi posti di lavoro, a partire già dal 2021.

Forse queste assunzioni risolveranno almeno in parte il grande problema dell’instabilità lavorativa spagnola: i contratti a tempo determinato. A dicembre rappresentavano il 90% tra i nuovi occupati, nonostante la disoccupazione dei giovani, quella più colpita dalla precarietà, sia diminuita di 143mila unità nel 2021. Proprio questo è il punto nevralgico della nuova riforma del lavoro promossa dalla vicepresidente Yolanda Díaz, approvata a fine dicembre in Consiglio dei Ministri e adesso al vaglio delle forze parlamentari dopo l’accordo con le parti sociali. La manovra prevede di ridurre i contratti a tempo determinato a due tipologie, una per la sostituzione di un lavoratore e l’altra per circostanze specifiche, per esempio quando le aziende hanno bisogno di maggiore aiuto in alcuni periodi critici dell’anno (come previsto in Italia dal decreto Dignità, che durante l’emergenza sanitaria è stato però depotenziato). Le imprese avranno tre mesi per adeguarsi alle nuove misure e saranno multate con 10mila euro per ogni contratto illegale. L’esecutivo vorrebbe che la legge passasse così com’è ma i negoziati con le forze regionali potrebbero riaprire il dibattito.

Dopo il boom di dicembre arriva il mese peggiore, gennaio, il periodo in cui terminano gli acquisti natalizi e il mercato interno subisce una compressione. A fare da sfondo c’è l’esplosione dei casi per la variante omicron, che sta riempiendo gli ospedali e ha fatto registrare oltre 370mila positivi solo nel fine settimana. L’introduzione di nuove restrizioni potrebbe portare a nuovi ERTE, soprattutto nella ristorazione e nel turismo. Sebbene la situazione lasci ben sperare la Spagna è ancora uno dei peggiori paesi dell’Ue per tasso di disoccupazione: il 14,5%.

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