La tubatura che portava il metano era spaccata. Gli accertamenti tecnici hanno trovato il punto di rottura della rete comunale di Ravanusa dove, lo scorso 11 dicembre, un’esplosione ha causato il crollo di 5 palazzine e la morte di 9 persone: “Come un potentissimo terremoto”, aveva detto il capo della protezione civile regionale, Salvo Cocina. Un impatto su 10mila metri quadri provocato da una perdita nell’impianto. La prima ipotesi pare adesso, dunque, del tutto confermata dalle indagini dei consulenti tecnici nominati dalla procura di Agrigento.

Già all’indomani dalla tragedia, infatti, gli esperti avevano subito ipotizzato che a causare l’imponente esplosione fosse stata una perdita di gas nell’impianto che aveva creato un accumulo nel tempo e infine la deflagrazione di dicembre. “Un punto esatto di rottura. Si ipotizza una perdita di gas dalla rete di distribuzione del metano che ha creato un accumulo sotterraneo spostandosi nelle abitazioni limitrofe”, questo scrive la procura di Agrigento in una nota a firma del procuratore Luigi Patronaggio. Dopo due giorni di operazioni, i consulenti hanno trovato una spaccatura molto evidente nell’impianto a metano, all’altezza di via Trilussa, proprio sotto l’abitazione del professore Pietro Carmina.

L’insegnante di Storia e Filosofia del liceo di Canicattì, in pensione da due anni, la cui morte aveva commosso i suoi studenti che nei giorni dopo la tragedia avevano rilanciato sui social il discorso di commiato di Carmina: “Il pullman è arrivato. Io mi fermo qui. A voi, buon viaggio”, aveva detto ai suoi alunni il professore menzionato anche dal presidente della Repubblica nel discorso di fine anno. Il punto di rottura era proprio sotto di lui e il paradosso è che l’esplosione non ha lasciato scampo proprio al docente in pensione che neanche aveva un allaccio all’impianto del Comune. Usava ancora le bombole, il professore Carmina, ma è rimasto lo stesso vittima della perdita di metano. Un impianto che a distanza di meno di un mese perdeva ancora gas. Gli scavi meccanici hanno consentito di arrivare al punto esatto in cui la rete era spaccata. Dopo gli scavi meccanici, una volta individuata la spaccatura, i consulenti hanno continuato a scavare manualmente intorno al punto di rottura ed era ancora presente, a distanza di “giorni dalla esplosione, una residua sacca di metano domestico ben distinguibile dal tipico odore”.

Agli scavi erano presenti, oltre i consulenti e il pm Salvatore Vella che coordina le indagini, anche i difensori di Italgas Reti Spa. Un atto irripetibile destinato a diventare prova in un eventuale dibattimento. Si continuerà a scavare oggi e nei prossimi giorni ma intanto la prima ipotesi ha già preso corpo. L’indagine della procura agrigentina per disastro colposo e omicidio colposo plurimo vede indagati dieci tra i vertici nazionali e regionali di Italgas Reti Spa. Bisognerà ora accertare cosa ha provocato la rottura dell’impianto. L’impianto a metano di Ravanusa risale al 1983, e insiste in un terreno franoso, spesso investito da scosse di terremoto. Cinque giorni prima dell’incidente, però, era stato fatto un intervento di manutenzione sulla rete che non aveva rilevato criticità. Questo è quanto risulta ai carabinieri di Agrigento. Italgas Reti Spa ha però escluso che tecnici della società abbiano fatto interventi nei giorni precedenti all’esplosione. Gli investigatori, che non hanno alcun dubbio che l’intervento sia stato fatto, stanno quindi verificando se la manutenzione è stata fatta da un’altra società.

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