È morto l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, che fu uno dei simboli della resistenza contro l’apartheid e divenne poi il promotore della riconciliazione. Tutu, 90 anni, arcivescovo anglicano, vinse nel 1984 il premio Nobel per la Pace come simbolo della lotta nonviolenta contro il regime razzista. Il presidente Cyril Ramaphosa lo ha definito “un patriota senza pari’. Per Obama è “Uno spirito universale e una bussola morale”. Bernice King, figlia di Martin Luther King, si riferisce a lui come un “potente pellegrino sulla terra”.

LA LOTTA ALL’APARTHEID – Ma una volta finita l’apartheid, dopo che Nelson Mandela era stato eletto presidente del nuovo Sudafrica, Tutu collaborò per forgiare la nuova nazione “arcobaleno” (il termine fu ideato proprio da lui), uscita dalle ceneri di un secolo di regime della minoranza bianca. Ideò e presiedette la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc), creata nel 1995, che in un doloroso e drammatico processo di pacificazione fra le due parti della società sudafricana mise in luce la verità sulle atrocità commesse durante i decenni di repressione. Il perdono fu accordato a chi, fra i responsabili di quelle atrocità commesse, avesse pienamente confessato: una forma di riparazione morale anche nei confronti dei familiari delle vittime. Ben lontano dall’accontentarsi del nuovo status quo, Desmond Tutu non ha mancato di fustigare lo stesso partito maggioritario dell’Africa multietnica, l’African National Congress (Anc), denunciandone la deriva nepotistica e la corruzione sotto il presidente Jacob Zuma. Non ha risparmiato neanche il presidente Mandela, criticandolo per le paghe ritenute troppo generose di alcuni ministri e collaboratori. Ha inoltre rimproverato molto duramente l’omofobia presente nella società, nel potere e nella Chiesa anglicana. Nemico giurato dell’apartheid, Tutu ha lavorato instancabilmente, in modo non violento, per la sua sconfitta. Il prelato dalla voce schietta usò il suo pulpito come primo vescovo nero di Johannesburg e in seguito arcivescovo di Città del Capo, nonché frequenti manifestazioni, per galvanizzare l’opinione pubblica contro l’iniquità razziale sia in patria che a livello globale.

DA OBAMA AL PAPA, LE REAZIONI – Nell’annunciare la scomparsa del reverendo Tutu, il presidente Cyril Ramaphosa ha espresso, “a nome di tutti i sudafricani, profonda tristezza per la morte, avvenuta domenica, di una figura essenziale della storia” del Paese. E lo ha definito un “patriota senza pari, leader di principi ma anche pragmatico che ha dato un vero significato alla dottrina biblica che la fede senza l’azione è morta”. Anche “uomo di straordinario intelletto, integrità e irriducibile volontà”, dotato di “tenerezza e vulnerabilità nella sua compassione”. Bernice King, figlia di Martin Luther King, ha voluto ricordarlo: “Sono rattristata nell’apprendere della morte di un saggio globale, leader dei diritti umani, potente pellegrino sulla terra. Siamo migliori perché è stato qui”. Papa Francesco tramite un telegramma ha sottolineato “Il suo servizio al Vangelo tramite la promozione dell’uguaglianza razziale e la riconciliazione nel suo nativo Sudafrica”, il Pontefice “affida la sua anima all’amorevole misericordia di Dio Onnipotente”. “Su tutti quelli che piangono la sua scomparsa” Francesco invoca “le divine benedizioni della pace e della consolazione”. Anche l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha avuto parole per lui: “Desmond Tutu era un mentore, un amico e una bussola morale per me e per molti altri. Spirito universale, Tutu si è battuto per la liberazione e la giustizia nel suo Paese, ma era anche preoccupato per l’ingiustizia altrove. Non ha mai perso il suo senso dell’umorismo e la sua volontà di cercare un lato umano nei suoi avversari. A me e Michelle mancherà molto”.

LA BIOGRAFIA – Nato il 7 ottobre 1931 a Klerksdorp, una città a ovest di Johannesburg, Tutu è diventato insegnante prima di entrare al St. Peter’s Theological College di Rosetenville nel 1958 per la formazione sacerdotale. Fu ordinato sacerdote nel 1961 e sei anni dopo divenne cappellano dell’Università di Fort Hare. Si trasferisce nel minuscolo regno dell’Africa meridionale del Lesotho e di nuovo in Gran Bretagna, con Tutu che torna a casa nel 1975. Diventa vescovo del Lesotho, presidente del South African Council of Churches e, nel 1986, primo arcivescovo anglicano nero di Cape Town. Tutu fu arrestato nel 1980 per aver preso parte a una protesta e in seguito gli fu confiscato il passaporto per la prima volta. Ha recuperato il documento per effettuare viaggi negli Stati Uniti e in Europa, dove ha tenuto colloqui con il segretario generale delle Nazioni Unite, il Papa e altri leader della chiesa. Ritiratosi da ogni carica attiva nel 1996, dal 1997 Tutu ha dovuto fare i conti a più riprese con il cancro. Di recente ha anche preso posizione a favore della “morte compassionevole”: “Ho preparato la mia morte e voglio che sia chiaro che non voglio essere tenuto in vita a tutti i costi”, ha scritto in un editoriale del 2016 sul Washington Post. “Spero di essere trattato con compassione e che mi sia consentito di passare alla prossima fase del viaggio della vita nel modo che sceglierò”.

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