Piste vuote nel momento dell’anno di maggiore affluenza, quello legato alle festività natalizie e alla notte di Capodanno. Con biglietti già staccati, ospiti sotto contratto, rifornimenti ordinati e personale assunto. Le discoteche richiudono per almeno 40 giorni a due mesi dalla riapertura con protocolli stringenti, vincolati alle capienze e all’uso del Green pass che è stato il timone di ogni scelta da agosto in poi. Una chiusura comunicata la sera dell’antivigilia di Natale e senza fare il minimo accenno al problema economico, al di là dell’opportunità delle misure. Nel merito, il primo “colpo” a quella “tranquillità” e a quel “tutto aperto” – che il governo ha sempre assicurato come possibile grazie certificato verde – lo subisce il settore che più di tutti finora ha scontato la pandemia in termini di tempo in cui non ha potuto lavorare. Resta tutto aperto, ma non si potrà ballare fino al 31 gennaio.

La decisione è stata partorita in Consiglio dei ministri ed è stato più stringente di quanto era maturato durante la Cabina di regia tra i delegati delle forze di maggioranza, il presidente del Consiglio, il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro e il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli. Un cambio di rotta repentino che ha portato all’annuncio del ministro della Salute Roberto Speranza durante la conferenza stampa, senza che venisse contestualmente comunicato non solo il quantum dei ristori, ma neanche se ci saranno. E così i rappresentanti della categoria adesso chiedono a gran voce di avere indennizzi, già caldeggiati dai ministri leghisti durante il Consiglio dei ministri. E critiche sono piovute anche da Italia Viva, che con Daniela Sbrollini parla di scelta “miope” e di “capriole” di ministero e Cts.

Alle 14 di giovedì sembrava ormai certo che le misure per accedere a discoteche e sale da ballo sarebbero state rinforzate, con l’obbligo di tampone aggiunto alla necessità di avere ricevuto due dosi di vaccino oppure la sola somministrazione di tre dosi. Una regola che avrebbe portato con sé lo stesso impianto anche per altri eventi come stadi e palazzetti. Alla fine si è optato per chiudere le discoteche e applicare agli altri eventi con folla al chiuso il solo obbligo di mascherina Fffp2. Cosa è accaduto nel mezzo?

I titolari delle discoteche aveva già rumoreggiato per le indicazioni filtrate dopo la Cabina di regia. “A queste condizioni non si aprirà. A Capodanno, così, non possiamo aprire”, aveva detto Gianni Indino, presidente del Silb-Fipe Emilia-Romagna, il sindacato delle sale da ballo, parlando di “pietra tombale” e ricordando che il Capodanno “vuol dire il 15% della stagione” e quindi “ossigeno per mantenerci in vita”. Sei ore dopo, la decisione di chiudere tutto per oltre un mese e con il San Silvestro alle porte.

“Eravamo già pronti per lavorare il 31 dicembre con la speranza di compensare una parte dei 4 miliardi di euro di perdite di due anni di chiusura. Ma ecco che in poche ore tutto è stato distrutto”, ha detto il presidente nazionale di Silb-Fipe Maurizio Pasca. “Ci stavamo lentamente riprendendo seguendo le regole imposte dallo stesso Governo, ma evidentemente non è bastato. Tutte le attività sono aperte, stadi, teatri, cinema, ma non le discoteche”. Si sentono un “capro espiatorio”: “Ci chiudono solo per far vedere che fanno qualcosa – si sfoga Tito Pinton, gestore del Muretto di Jesolo – quando non c’è un solo motivo scientifico per chiuderci”.

La stagione ‘orribile’ continua e questa volta con una “doccia fredda”, neanche prevista ma dettata dall’accelerazione della variante Omicron unita agli alti tassi di incidenza nella popolazione più giovane (tra le fasce più colpite nelle ultime settimane). Senza contare che tra gli under 40 i tassi di terze dosi somministrate sono ancora basse e, come è ormai chiarito da tutti gli studi, la protezione dal contagio crolla al 39% a distanza di cinque mesi dal completamento del primo ciclo. “Cosa pensate che accadrà il 31 dicembre? – si domanda quindi Pasca – Le persone andranno a ballare e festeggiare in luoghi abusivi, con buona pace di ogni tracciamento e misura di sicurezza”.

Paolo Peroli, portavoce del Comitato Territoriale Esercenti, associazione che riunisce buona parte dei locali da ballo milanesi, sostiene che proprietari e gestori hanno “reimpostato il nostro modo di lavorare per salvare le nostre aziende e il futuro delle nostre famiglie tutelando prima la sicurezza e la salute della clientela ed ora il governo ci chiude”. Con una normativa, aggiunge non chiara” che “crea continue discriminazioni” e “senza nemmeno spendere una parola sui ristori“. Anche Pasca ritorna sull’aspetto economico: “Quando si chiude un locale da ballo bisogna ricordarsi che ci sono famiglie dietro che vivono di questo lavoro. Evidentemente per questo governo siamo figli di un Dio minore. Ne abbiamo abbastanza. L’11 ottobre abbiamo aperto e abbiamo assunto centinaia di persone. Cosa diremo loro domani mattina? Siamo senza parole”.

E quindi arriva al dunque, sulla repentinità della decisione del governo e la mancanza totale di comunicazione sui ristori, non solo non quantificati ma allo stato neanche ufficializzati a parole insieme all’annuncio della chiusura: “A questo punto, visto che la decisione di chiudere è arrivata dall’oggi al domani, nello stesso breve arco di tempo ci aspettiamo una decisione sui ristori”. E così oggi il sindacato si riunirà alla ricerca di una “condivisione su azioni da intraprendere”, dice Indino, perché “si ponga fine a questo comportamento delittuoso nei confronti del nostro settore”.

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