“Guardi, lei deve chiamare il direttore. Abbia pazienza, ma deve chiamare lui. La ringrazio”. Così risponde (e riattacca) il funzionario che da due anni sdogana milioni di mascherine provenienti dalla Cina ai magazzini generali dell’aeroporto Catullo di Verona. Così tante che è stato premiato con la medaglia dei doganieri. La domanda però era posta al contrario: scusi, ha mai ricevuto indicazioni per far passare un carico sospetto a gennaio 2021? La questione è molto delicata, oggetto di un’indagine interna all’Agenzia delle Dogane, mentre le procure di mezza Italia si interessano a decine di operazioni d’importazione in odor di truffa, di favoritismi e corruzioni: quelle che coinvolgono l’ex socio di studio di Giuseppe Conte Luca di Donna, l’ex commissario Domenico Arcuri, l’ex giornalista Rai Mario Benotti, e Irene Pivetti a Siracusa, per citare le più note.

All’inizio della pandemia infatti eravamo disperati: soli davanti al virus, senza difesa alcuna. Era marzo 2020, e partiva allora la corsa a rotta di collo del governo e delle autorità di sanità pubblica a garantire il più ampio afflusso di mascherine possibile alla popolazione, ovunque si trovassero, soprattutto dalla Cina. Le misure di semplificazione introdotte in quel clima da Armageddon sono poi rimaste, e tanti imprenditori improvvisati e broker senza scrupoli le hanno usate come “grimaldello” per fare affari illeciti, inondando l’Italia e gli italiani di prodotti inidonei a proteggerli. Ogni giorno spunta un caso sospetto, un traffico da chiarire, anche in tempi in cui la fame di mascherine non era più la stessa.

L’ultimo di cui si ha notizia ruota attorno all’ex deputato leghista Gianluca Pini, che dalla ristorazione si lancia nel business dei dispositivi di protezione importati, e riesce a ottenere dall’Asl Rmagna commesse per 4 milioni di euro. Rivelando che la Procura di Forlì sta indagando su quelle operazioni Il Domani ha anche evidenziato il rapporto personale che intercorre tra Pini e il direttore delle Dogane, Marcello Minenna, già sotto indagine per altre vicende. Pini nega di aver avuto da Minenna favori per sdoganare mascherine cinesi: “Non mi pare che abbia un ruolo operativo nelle certificazioni e sui controlli. Non gli ho sollecitato nulla comunque, e sono andato a trovarlo in sede a Roma solo una volta, quando avevo una mezz’oretta libera”.

Un caso irrisolto emerge ora a Verona. Riguarda due carichi di mascherine cinesi che a fine gennaio 2021 erano stati segnalati dalla centrale rischi delle dogane, e tuttavia sono passati lo stesso, senza alcun controllo. A importarle era una società bergamasca, la Gilania Srl, per conto della Kasanova Srl, catena da 550 negozi in Italia e 2.000 dipendenti che, come altre aziende, a inizio pandemia si è buttata sul redditizio business dei dpi. A maggio 2020 le mascherine di Kasanova erano già finite nel mirino di “Striscia la Notizia”: i dispositivi in vendita venivano spacciati come FFP2 (a 2.40 euro l’una), in realtà erano le chirurgiche da 50 centesimi. Anche le certificazioni erano dubbie.

Sei mesi dopo, il 21 gennaio 2021, un’altra operazione fa accendere la “spia rossa” dell’antifrode delle Dogane. La centrale individua profili di rischio per due carichi da 5.100 e 5.320 chili importati da Gilania per Kasanova. Nelle bollette doganali veniva dichiarato un valore della merce inferire rispetto alle 105 importazioni effettuate nel 2020, compatibile con l’evasione di diritti doganali oppure, peggio, con una qualità scadente del prodotto, potenzialmente inidonea a proteggere la popolazione. Nonostante l’alert dell’Antifrode, questo il punto, non succede niente. Quel carico sospetto passa lo stesso, come nulla fosse.

Così in un giorno passano 10 tonnellate di materiali “a rischio”
La procedura doganale di controllo prevede che il funzionario dell’ufficio territoriale che detiene materialmente merce e documenti di carico si metta subito in contatto telefonico con la sala analisi di Roma per concordare le verifiche. Ma questo non succede. Tanto che l’indomani sarà la stessa direzione antifrode a prendere l’iniziativa, scrivendo direttamente al capo della dogana di Verona: “Poiché non risultano essersi svolti i richiesti contatti telefonici, si prega di conoscere il tipo e l’esito dei controlli condotti e se sia stato effettuato il prelievo dei campioni per le analisi di laboratorio”. Analisi necessarie a definire “la soglia di anomalia del rapporto tra costo del dispositivo/qualità filtrante”.

Neppure questo sollecito però ha effetto: a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, le mascherine saranno sdoganate e immesse sul mercato senza che alcuno abbia potuto verificare che facessero quel che promettevano. Ancora oggi, a distanza di un anno, l’Antifrode attende un riscontro documentale che corrobori la decisione di ignorare il suo warning. Come è possibile? Come si concilia questo caso, coi dati diffusi dall’Agenzia che rivendica di aver sdoganato 3,7 miliardi di mascherine, e di aver sequestrato e distrutto 50 milioni di beni Covid? L’assenza di risposte addensa nei corridoi dell’Adm il sospetto che su certe partite sia intervenuto una sorta di “scavalco” da parte dei piani alti, non per forza per fare dei favori, magari solo per coprire errori. Il funzionario territoriale che sta in basso, a Verona, involontariamente, lo rafforza: “Guardi, lei deve chiamare il direttore. Abbia pazienza, ma deve chiamare lui. La ringrazio”.

Ma non è stato possibile. Cercando Marcello Minenna, incidentalmente, si apprende che ha stipulato un “contratto personale” con l’agenzia Comin&Partners, che paga di tasca sua, per curare i rapporti con la stampa. L’agenzia dunque, non Minenna, riferisce a questo giornale che “sul caso di Verona c’è un’indagine interna”, per cui non è possibile riferire di più. Che il direttore delle dogane “non ha un ruolo attivo nello sdoganamento”, e che “in caso di problemi con lo eventualmente chiama il capo della direzione interregionale, non i funzionari territoriali tanto che questo funzionario di Verona non lo conosce neppure, questo dice”.

Premiato, ma sconosciuto
Minenna però il funzionario lo conosce eccome. Nel corso del 202o ha partecipato a diverse conferenze dei direttori, benché sia appunto un semplice funzionario, riunioni convocate e presiedute proprio dal direttore: al fattoquotidiano.it ne risultano almeno cinque tra maggio e giugno 2020, in coincidenza con la prima importazione a Verona da parte di Gilania Srl che farà 21 operazioni più altre 39 nel 2021. Non solo. L’anno scorso Minenna ha celebrato il “Premio San Matteo“, patron dei doganieri, premiando i 100 dipendenti dell’agenzia (su 11mila) che si sono particolarmente distinti per il servizio reso alle Dogane durante il periodo dell’emergenza. E tra i premiati da Minenna nel cortile d’onore di Piazza Mastai spicca proprio quel funzionario.

Altri 860 milioni sui dpi
Chiusa la parentesi, cosa accomuna le vicende di Forlì, Verona e tutte le inchieste in corso sulle importazioni? Oggi le mascherine abbondano, quasi te le regalano. Si trovano per terra, sono addirittura tema di inquinamento ambientale. Ma c’è stato un lungo lasso di tempo, a inizio emergenza, in cui erano letteralmente introvabili, tanto che a chi sapeva procurarle rendevano ben più di altri traffici. Per garantirle alla popolazione, il governo approntò allora una serie di deroghe e semplificazioni in materia di produzione e importazione di cui imprenditori improvvisati e broker spregiudicati hanno approfittato per commercializzare montagne dispositivi inidonei, dei cui sequestri oggi s’è perso pure il conto. Il problema dello sdoganamento e del controllo delle merci vale per il passato, visto il rischio corso dalla popolazione, e per il futuro: per garantire scorte del prossimo triennio 2022-2023, il governo ha appena stanziato 860 milioni di euro tra guanti, mascherine e camici. Quanti soldi pubblici finiranno ancora sui conti dei furbi? Come impedirlo?

Le norme per lo “sdoganamento veloce”
Sul fronte delle importazioni, a creare un primo grande varco allo “sdoganamento veloce” è stato il Cura Italia, decreto emergenziale che il 20 marzo 2020 ha consentito l’importazione “in deroga” dei dispositivi di protezione privi di marchio “CE”. Al tempo stesso per garantire “ogni azione utile allo sdoganamento diretto e celere dei dispositivi di protezione individuale” sono intervenute diverse circolari del Commissario per l’emergenza (n. 6 del 28 Marzo 2020). Infine una serie di circolari, firmate dal direttore delle Dogane Minenna, per le quali non sono mancati dubbi e contrasti con la stessa Direzione centrale Antifrode. Lo raccontano gli atti, messi in successione.

Lo scontro sui controlli
L’8 marzo 2020, ad esempio, una direttiva firmata da Minenna autorizza gli uffici doganali ad effettuare un controllo documentale “in luogo della visita merce”. Significa che se i documenti per l’importazione sono a posto non si apre nulla: quel che c’è dentro finisce direttamente negli ospedali, nelle farmacie e nelle scuole. Cinque giorni dopo la Direzione Antifrode ne emette una propria (la n.89406) che tenta di parare il colpo: comunica a tutte le direzioni territoriali che non possono derubricare automaticamente il controllo delle merce in dogana a mero controllo documentale, salvo per gli operatori ritenuti affidabili dall’Agenzia, sulla base di informazioni relative a operazioni d’importazione precedenti.

Tempo tre giorni e dalla Direzione arriva la terza direttiva in materia di controlli che vanifica la seconda: contrordine, la n. 93201 del 17 marzo 2020, al quarto e quinto capoverso, ribadisce l’indirizzo dell’Adm volto a “limitare i controlli fisici a quelli obbligatori per espressa disposizione normativa o di un’autorità giudiziaria”, a prescindere dal luogo dove si effettua l’operazione doganale. La direttiva specifica: “In tal senso va letta anche la nota n.89406 della Direzione generale Antifrode e Controlli, la quale sta provvedendo ad abbattere sempre più le percentuali di controllo nel sistema informatizzato di analisi dei rischi, commisurarle agli effetti controlli obbligatori come da sopra descritti”. Se non un’istigazione a compiere attività illecite, una certezza del basso rischio di incappare in un controllo.

La precisazione dell’Ufficio Stampa ADM:
“Nessuno scontro c’è mai stato in ADM; le direttive emanate sono coerenti tra loro e con vincoli legali introdotti dal Governo per contrastare la pandemia. L’8 marzo 2020 il DPCM disponeva forti limitazioni nelle zone gialle e bloccava lo spostamento di persone in quelle rosse. ADM lo attuava il giorno stesso con linee di indirizzo (LIUA) che mantenevano un efficace controllo sulle mascherine: sebbene il blocco del DPCM impedisse i controlli VM (Verifica Merci), che impongono il contraddittorio con le parti, ADM autorizzava gli Uffici in zona rossa a sdoganare tale merce con controlli CD (Controllo Documentale), mantenendo i VM nei casi obbligatori ex lege e incaricando le Direzioni competenti delle ulteriori direttive attuative.

Sebbene l’11 marzo 2020 un nuovo DPCM imponesse misure più restrittive sull’intero territorio nazionale mettendo in smart working i dipendenti pubblici, ADM, quel giorno, con una nuova LIUA, inseriva le attività di sdoganamento tra quelle indifferibili da svolgersi in presenza.Il 12 marzo 2020 la Direzione Antifrode, richiamando i citati DPCM e LIUA, emanava coerenti direttive sui controlli. Il 17 marzo 2020 il decreto legge 18, disponeva deroghe ai controlli doganali sulle mascherine e quel giorno ADM, per governare gli effetti della deroga, emanava l’ulteriore LIUA che, tra l’altro, ribadisce il controllo doganale sulle mascherine tra le attività indifferibili.

Il Controllo Documentale (CD) all’epoca dei fatti, quindi, era l’unico possibile sui requisiti di sicurezza delle mascherine, in quanto la verifica di idoneità era rimandata all’accertamento, non di competenza di ADM, sulla validità di apposite certificazioni.

Cionondimeno, l’Agenzia, risolti i blocchi della prima fase emergenziale, in base alle annotazioni effettuate nei propri sistemi di controllo doganale, alle segnalazioni di rischio dei propri sistemi di intelligence ovvero su richiesta delle A.G., ha sottoposto a controllo, anche tramite i suoi laboratori chimici, coerentemente con le dotazioni strumentali, numerose partite di mascherine, oggetto anche di procedimenti penali, amministrativi e tributari.

Per quanto attiene le tesi del giornalista circa presunti sdoganamenti della Gilania srl a Verona omettendo i controlli, o l’interlocuzione tra gli Uffici antifrode e l’osservanza dei loro alert, in atti è dimostrato che il controllo è stato eseguito e che non vi è alcuna difformità di valutazione tra gli Uffici dell’Agenzia.

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