“Io gli feci tre domande. Gli chiesi se l’allentamento delle restrizioni valeva anche per Berlino Ovest e lui rispose: ‘Sì, vale per tutte le frontiere’. Allora gli feci: ‘Senza passaporto?’. E lui mi disse: ‘Sì, solo con un documento d’identità’. E poi: ‘Ab wann?’, Da quando?. E lui disse: ‘Qui non c’è scritto, ma sono certo che è da subito. Da questo momento'”. Così Riccardo Ehrman, storico corrispondente dell’Ansa, morto oggi a 92 anni, raccontò a ilfattoquotidiano.it come andò la conferenza stampa con cui in pratica “fece cadere” il Muro di Berlino: fu sua la domanda decisiva al portavoce del politburo del partito socialista della Ddr, Guenter Schabowski, che la sera del 9 novembre 1989 dette l’annuncio che il confine che spaccava in due la città tedesca non esisteva più. Quelle parole si diffusero subito a Berlino e nel resto della Germania dell’Est: migliaia di persone, che avevano seguito la conferenza stampa in tv, si recarono presso il muro per verificare se fosse vero quello che avevano sentito in televisione. Le guardie di confine, prese di sorpresa e prive di indicazioni, aprirono i checkpoint e una gran massa di berlinesi dell’Est si riversò a ovest senza controllo. Ehrman fu riconosciuto in serata alla stazione di Friedrichstrasse da molti di coloro che avevano seguito la tv e fu portato in trionfo.

Ehrman era nato a Firenze nel 1929. A 13 anni, per via delle sue origini ebraiche, finì rinchiuso in un campo di internamento fascista di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. Fu liberato nel settembre 1943. Dopo aver lavorato in Canada e a New York, Ehrman a metà degli anni Settanta fu inviato dall’Ansa come corrispondente a Berlino Est; nel 1982 si trasferì all’ufficio di corrispondenza di New Delhi, per tornare a Berlino Est nel 1985. Nel 1991 assunse la responsabilità dell’Ufficio Ansa di Madrid, dove restò fino al pensionamento. Fino alla sua morte ha abitato con la moglie Margherita nel centro storico della capitale spagnola, che tanto amava. Regolarmente ogni anno, con l’avvicinarsi del 9 novembre, l’anniversario della caduta del Muro di Berlino, giornali, radio e televisioni tedesche, italiane e di altri Paesi lo cercavano per interviste e rievocazioni di quel giorno memorabile.

Tutto era cominciato quando la mattina del 9 Gunther Potsche, direttore dell’agenzia di informazione della Germania Est, la Adn, telefonò all’ufficio di corrispondenza di Ehrman. Non disse nome e cognome perché i telefoni erano sorvegliati, ma gli bastò comunicare che c’era un grande dibattito nel gruppo dirigente del partito comunista della Ddr. Il giorno prima erano state decise alcune lievi aperture nella legge di viaggio che di fatto impediva l’espatrio ai cittadini tedesco-orientali, ma sulle modalità c’era evidentemente ancora uno scontro nella dirigenza intorno ad Egon Krenz, l’ultimo segretario socialista della Germania orientale. Alla conferenza stampa annunciata per la sera Riccardo arriva per ultimo, racconterà tra l’altro a Wired: “Girai a lungo nel parcheggio del ministero: non trovavo posto”. Per questo nelle immagini passate alla storia lo si vede seduto sui gradini, poco sotto il tavolo degli oratori, tra i quali appunto c’è Schabowski, arrivato anche lui in ritardo e non al massimo della preparazione.

Ehrman alza la mano per primo e la tiene sollevata. “Lei ha parlato di errori – dice rivolto al portavoce – non crede che sia stato un grande errore quello di annunciare poche settimane fa una legge di viaggio che non era tale?”. Schabowski, nervoso, legge il foglietto con le istruzioni che gli hanno consegnato. “I tedeschi dell’est possono espatriare senza dare spiegazioni”. Così il giornalista dell’Ansa passa alla seconda domanda: “Vale anche per Berlino ovest?”. “Ja“. E lì arrivò il momento della domanda delle domande: Ab wann?, Da quando? “Dopo la conferenza stampa ho passato momenti di terrore, terrore puro di aver dato una notizia falsa. Subito dopo la conferenza stampa sono corso al posto di frontiera più vicino per vedere cosa succedeva e quando sono arrivato lì mi sono reso conto che non succedeva assolutamente nulla. Che tutto era bloccato come prima. E allora mi sono impaurito. ‘Sta’ a vedere che ho sbagliato in pieno’, mi sono detto” raccontò a ilfattoquotidiano.it.

Invece qualche ora dopo migliaia di persone premevano ai valichi in diversi punti del Muro. Sulla porta di casa, quando tornò, trovò una vicina, ex ambasciatrice della Ddr all’Onu e professoressa di Marxismo e leninismo. “Mi aspettava sulla porta e piangeva. Quando sono arrivato si è gettata tra le mie braccia e ha detto: Alles ist vorbei, aber vielleicht ist es besser so, che significa: ‘E’ tutto finito, ma forse è meglio così'”. Una volta entrato in ufficio, raccontò, c’era il telefono che suonava: “Alzo la cornetta e sento una voce concitatissima dall’altra parte che dice: ‘Riccardo, sono l’ambasciatore d’Italia. Che cazzo hai fatto? Tutti i miei colleghi ambasciatori mi dicono che un italiano ha fatto qualcosa di incredibile’. Non mi ricordo cosa gli risposi, ma oggi potrei rispondergli con certezza: Beh, sì, ho fatto cadere il Muro di Berlino”.

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