Quarantamila occupati a tempo indeterminato in meno in due mesi. Ossia dal 1 luglio, data in cui è terminato il blocco dei licenziamenti per l’industria, al 31 agosto 2021. È quanto risulta dall’ ultimo aggiornamento mensile dell’Osservatorio sul Precariato dell’Inps. Se si prendono in considerazione tutti i tipi di contratto, quindi anche a termine, apprendistato, somministrazione etc, le cessazioni sono state un milione e 112mila contro le 926mila del luglio-agosto 2020. Si conferma l’inesistenza di qualsiasi “effetto divano” del reddito di cittadinanza sulla disponibilità di lavoratori stagionali come lamentato da alcuni ristoratori.

I nuovi contratti stagionali dell’agosto 2021 sono stati 62mila, meno rispetto ai 72mila dell’agosto 2020 (quando però le strutture turistiche stavano però rimpolpando gli organici dopo le prolungate chiusure) ma superiori sia dell’agosto 2019 (43mila) sia l’agosto 2018 (38 mila), prima dell’introduzione del Reddito di cittadinanza. La stessa dinamica aveva caratterizzato i mesi di luglio (158mila assunzioni stagionali) e giugno (252mila). Come documentato da numerose inchieste de Ilfattoquotidiano.it il problema sembra piuttosto riguardare le retribuzioni e le condizioni lavorative che vengono offerte ai giovani,

Nel complesso l’Inps segnala come nei primi 8 mesi del 2021 le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati siano state 4.535.000, con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2020 (+19%) . I contratti sono tuttavia per lo più precari. Le assunzioni in somministrazione sono salite del 33%, gli stagionali del 32% mentre per i contratti a tempo indeterminato l’incremento si ferma al 6%. Nel periodo gennaio – agosto 2019 le assunzioni sono state oltre 5 milioni, nei primi otto mesi del 2018 5,2 milioni. Negli 8 mesi 2021 risultano in salita anche le cessazioni che sono state 3.534.000, il 4% in più dello stesso periodo del 2020. Nel gennaio agosto del 2019 le cessazioni erano state 4,2 milioni, nel gennaio – agosto 2018 4,3 milioni. Quello che emerge dai dati Inps è quindi la fotografia di un mercato del lavoro che non ha ancora recuperato i livelli di dinamismo pre pandemia e che sta sterzando verso un ulteriore ricorso al precariato.

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