Da oggi la Procura di Milano si ritrova di certo meno forte. Da oggi infatti la stanza numero 564 al quinto piano del palazzo è vuota. Il pubblico ministero Luigi Furno ha lasciato sedia (rigorosamente ergonomica), scrivania e faldoni. Da domani sarà giudice al Tar di Roma. Giustizia amministrativa, non più quella ordinaria. Altra storia dunque, per uno che qui a Milano in soli quattro anni ha gestito i fascicoli più importanti e delicati, assieme ad altri bravi colleghi (tra cui Paolo Filippini, Carlo Scalas, Adriano Scudieri, Silvia Bonardi) coordinati da ottimi aggiunti come il capo dell’antimafia Alessandra Dolci e il capo dei reati contro la pubblica amministrazione Maurizio Romanelli. Tutti portano anche la sua firma, il suo lavoro, la sua fatica. A partire dalla maxi-indagine Mensa dei poveri sul nuovo tangentificio Lombardia e che, coordinata dall’antimafia, ha decapitato quasi tutto il direttivo di Forza italia nella provincia di Varese. E poi l’indagine sul governatore della Lega Attilio Fontana finito indagato con l’accusa di frode in pubbliche forniture per i camici venduti dal cognato Andrea Dini alla Regione e per autoriciclaggio rispetto ad alcuni conti esteri. E ancora, ultima e devastante, l’inchiesta sulla concorsopoli all’università Statale che ha travolto l’infettivologo e volto noto Massimo Galli finito accusato per diversi bandi addomesticati.

Tutta roba seria. Nel mirino il potere, la politica, la pubblica amministrazione. Indagini delicate che Furno ha portato avanti sempre con equilibrio, senza badare al clamore, alle polemiche, senza mai farsi tirare la giacca. Barra dritta, ostinato oltre le critiche e i veleni (anche interni) che in questi anni non sono mancati. E però, nonostante successi giudiziari indiscussi, ha scelto, per ora, altra strada. E del resto non poteva fare altrimenti: primo al concorso, assoluto su cinquemila partecipanti. Insomma, roba che mette i brividi. A chiedergli il perché di questa sterzata, Furno allarga le braccia, lo sguardo tradisce qualcosa. Ma oltre non va, soprattutto non parla.

E allora tocca tornare indietro. Ripartire da Napoli, città natale di questo magistrato tosto e scrupoloso. Giovanissimo, classe ‘80, nonostante tanta strada già fatta. Sposato, una figlia, passione per il mare e la barca. Al Nord ci arriva nel maggio 2014, alla procura di Busto Arsizio che in quel momento è retta temporaneamente da Eugenio Fusco, altro magistrato dalla schiena dritta che ha fatto la storia giudiziaria milanese e che in quel momento dalla provincia di Varese ha messo nel mirino l’allora governatore lombardo Bobo Maroni finito in un’indagine (chiusa con assoluzioni) su Expo, viaggi e presunte raccomandazioni. I due si trovano alla grande. Furno è giovane, ma impara in fretta. A guidare quei suoi primi uffici lombardi arriverà poi il procuratore Gian Luigi Fontana. In pochi anni Furno mette a segno l’indagine su Danilo Rivolta, sindaco di Lonate Pozzolo. L’inchiesta su corruzione, favori e nomine, rappresenterà le fondamenta su cui la Dda di Milano costruirà la Mensa dei poveri. In quell’intricata storia di provincia, emergeranno anche i legami politici con la ‘ndrangheta. Il fascicolo finirà a giudizio, molti saranno condannati. E già in quelle carte emerge prepotente, ma senza rilievi penali, la figura di Nino Caianiello che diventerà figura centrale e criminale per l’inchiesta milanese sul tangentificio Lombardia. Nino il Mullah che ha dominato la politica lombarda, dirigendo nomine e incassando favori. Il 7 maggio 2019 scattano gli arresti. In manette finisce anche Caianiello che deciderà di collaborare.

Il mullah e il pm iniziano ad annusarsi. I primi incontri sono burrascosi. I cronisti che attendono in corridoio sentono le loro urla. L’inchiesta è solida da Varese a Milano, nomine e appalti pubblici. Diversi filoni, quello di Furno punta su Varese e la Regione, il governatore Fontana finirà indagato per abuso d’ufficio e poi archiviato. C’è Forza Italia, non la Lega che certo si intravede nelle carte, eppure mancano i riscontri al sistema del Carroccio. Furno per la Mensa in questi anni ha portato a casa 25 patteggiamenti, compreso Caianiello, sintomo evidente di un impianto solido. Attilio Fontana esce da questa storia. Finirà indagato per la vicenda dei camici. Oggi le indagini sono chiuse. Si attende l’interrogatorio del presidente della Regione, sempre rimandato: Furno non ci sarà per il sollievo di qualcuno. Insomma, pochi anni quelli milanesi, ma di grande sostanza. Ieri è stato l’ultimo giorno per Luigi Furno. Molti indagati tireranno un sospiro di sollievo. Da domani però si ricomincia al Tar di Roma, ma anche qui a Milano per tutti i bravi magistrati che restano in prima linea. Sempre.

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