“Un garantismo barocco, di facciata, che non tutela i diritti ma rallenta ancora di più il procedimento, zavorrandolo di nuove carte inutili”. Parola di Stefano Musolino è sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e segretario di Magistratura democratica, la corrente delle toghe progressiste. Il commento del pm si riferisce a quella che è l’ennesima offensiva del governo in tema di giustizia: un decreto legge, appena varato dal Consiglio dei ministri, che restringe l’utilizzo nelle indagini dei tabulati telefonici. Non si tratta – va sottolineato – di intercettazioni, ma di dati generici forniti dalle compagnie rispetto a un’utenza: con che numeri l’indagato ha scambiato chiamate o messaggi, per quanto tempo e da quale cella telefonica. Uno strumento esplorativo, che finora poteva essere disposto in autonomia dal pm con un decreto. Quando c’è una qualsiasi notizia di reato, la prima cosa che fanno gli investigatori è estrarre il tabulato telefonico delle persone presente in qualche modo sospettate di averlo compiuto. È spesso il primissimo input di ogni indagine investigativa. Da adesso non più: il decreto legge approvato dal governo, infatti, dice che “i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice“, che valuta la rilevanza della richiesta dell’accusa (o di un’altra parte in causa) “ai fini della prosecuzione delle indagini“. Un bel problema, visto che, come detto, la richiesta dei tabulati è spesso la prima azione compiuta dai pm per accertare la maggior parte dei reati. Adesso, invece, non solo ci vorrà il permesso del giudice, ma per alcuni reati – quelli puniti con meno di 3 anni di carcere – chiedere i tabulati telefonici degli indagati sarà addirittura vietato. Il decreto, infatti, include nelle nuove norme tutti i delitti puniti con l’ergastolo e con la reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, oltre ai casi gravi di minaccia, molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono.

“Col decreto si ingolfano le cancellerie: più carte, più lavoro, tempi più lunghi” – L’effetto, spiega Musolino al fattoquotidiano.it, sarà duplice: indagini e procedimenti più lenti, mentre alcuni reati saranno molto più difficili da accertare. Senza considerare che il provvedimento è assolutamente sproporzionato rispetto all’obiettivo che si vorrebbe perseguire, cioè una maggiore tutela della privacy. “I tabulati – dice il pm – sono uno strumento molto poco invasivo, ma utile a orientare le indagini nelle prime fasi. Non dicono nulla sul contenuto delle telefonate o dei messaggi. Eppure con le nuove regole vengono quasi parificati alle intercettazioni: per fare un esempio, d’ora in poi continuerò a disporre in autonomia le perquisizioni personali o domiciliari, atti molto più delicati dal punto di vista della privacy, mentre per chiedere un tabulato dovrò passare dal gip”. Il quale dovrà esprimersi sulla “rilevanza” della richiesta: “Ma sarà burocrazia pura, utile solo a ingolfare le cancellerie”, avverte il magistrato, spiegando che “i tabulati si chiedono all’inizio. Agli albori delle indagini tutto è potenzialmente rilevante: si procede a tentoni, bisogna scegliere quale pista prendere. A meno di non chiedere i dati di qualcuno che non c’entra nulla, e allora sarebbe un illecito, finirà così: i gip avranno il loro bel modellino prestampato per autorizzare i tabulati, e ogni volta si terrà questo nuovo passaggio inutile. Il pm chiede, il gip autorizza. Più carte, più lavoro, tempi più lunghi. Un bel controsenso, per chi insiste tanto sulla velocità dei processi“. Il riferimento, chiaramente, è ai vari annunci della guardasigilli Marta Cartabia.

“Con la nuova legge sarà più difficile indagare su alcuni reati” – Ma c’è di più. Non solo il nuovo decreto legge rallenterà le indagini: in certi casi le ucciderà direttamente sul nascere. Il limite dei 3 anni, infatti, lascia fuori un buon numero di reati come le lesioni colpose e alcune fattispecie di furto. Per questo tipo di reati, in cui spesso sapere con chi ha parlato al telefono un potenziale indagato è fondamentale, chiedere i tabulati sarà vietato. Musolino fa un esempio pratico: “La sostituzione di persona, un reato sempre più diffuso che commette chi si appropria dell’identità altrui, anche e soprattutto online. È un cosiddetto reato-spia, che spesso rivela l’esistenza di un’associazione a delinquere dedita alla truffa. Cosa facciamo noi quando ci arriva una denuncia? Chiediamo subito i tabulati informatici, in modo da individuare chi si è collegato a quel dato account e in che momento. D’ora in poi non potremo più farlo, a meno di non iscrivere il fascicolo ipotizzando da subito il reato di truffa, commettendo una forzatura“, spiega Musolino. E non è l’unico aspetto irrazionale del decreto. All’articolo 2, infatti, si prevede che in tutti i procedimenti già in corso, in cui i tabulati sono già stati chiesti, il giudice debba intervenire ex post, alla prima udienza disponibile, a “sanare” la situazione dichiarandone la rilevanza ai fini dell’utilizzabilità. “Ma se le parti hanno già chiesto di utilizzarli, evidentemente sono rilevanti. Se invece non l’hanno chiesto, il problema non si pone”, nota Musolino. “Insomma: un altro passaggio privo di senso, che impiegherà a vuoto il lavoro dei giudici”.

“Accettare i cookies su internet viola la privacy più dei tabulati” – Il decreto legge è il frutto di un emendamento del deputato di Azione Enrico Costa, che ha fatto inserire nella legge di delegazione europea per il 2021 un ordine del giorno che impegna il governo a recepire il principio dettato dalla Corte di Giustizia dell’Unione. Lo scorso 2 marzo, infatti, una sentenza dell’organo di Lussemburgo aveva stabilito – in relazione a un caso proveniente dall’Estonia – che ad acquisire i tabulati non può essere direttamente il pubblico ministero (in quanto parte in causa) ma solo un giudice terzo. Finora la Cassazione ha negato che il principio si potesse applicare direttamente da noi: ora ci ha pensato il Governo a trasformarlo in legge. “Quella decisione, però – spiega il segretario di Md – considera un sistema molto diverso dal nostro, in cui i procuratori dipendono dal ministero della Giustizia. In Italia il pm è un’autorità giudiziaria a tutti gli effetti, che ha l’obbligo di svolgere indagini anche a favore dell’imputato e di controllare l’operato della polizia giudiziaria”. E a Costa che esulta (“È il risultato delle nostre battaglie liberali”) risponde: “Lo inviterei a preoccuparsi di più quando accetta i cookies navigando su Internet. È una violazione della privacy molto più grave di quella che pensa di aver impedito”.

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