Tra i tassisti romani le chiamano le “Melacooperative” e lui, il titolare, ora finito agli arresti domiciliari, è indicato con il soprannome di “Pinocchiello“. Si tratta di Raffaele Melaragno, presidente del Mit, Movimento italiano tassisti, che secondo l’accusa negli anni ha messo su un vero e proprio sistema di estorsioni ai danni di tassisti e autisti Ncc della Capitale, grazie a una rete di una ventina di cooperative riconducibili a lui. Per chi indaga Melaragno ha sottratto indebitamente agli associati almeno 4,5 milioni di euro, soltanto di Fis, Fondo integrativo salariale: per intendersi, il benefit che veniva riconosciuto dallo Stato durante l’emergenza Covid. Non solo. Buoni pasto, spese per la benzina e altre somme: il re delle cooperative, manomettendo le buste paga di comodo che emetteva ai soci, tratteneva per lui diversi emolumenti. Tanto che l’ammontare complessivo delle estorsioni è in via di accertamento: motivo per cui non è ancora scattato il sequestro dei diversi conti correnti collegati alle cooperative. Dall’ordinanza del Gip, Annalisa Marzano, emergono almeno una quindicina di possibili vittime che hanno reso la loro testimonianza, ma la rete delle cooperative si estende a un migliaio di tassisti e autisti. Oltre all’arresto di Melaragno, al momento ci sono anche cinque denunciati ma il bilancio complessivo dell’operazione condotta dalla Guardia di finanza, che sta indagando sul caso, potrebbe ampliarsi nei prossimi giorni.

LE MODALITA’ – “Parliamoci chiaro, i tassisti si reggono in piedi da soli, se si rivolgono alla cooperativa è perché si vogliono levare dagli impicci come Inps e Inail, e con quattro soldi si levano dalle palle tutto ciò”: così parlava Melaragno in una intercettazione del 19 febbraio scorso. I tassisti erano costretti a sottostare a “soprusi, prevaricazioni e intimidazioni di Melaragno”, scrive il Gip. Tramite l’istituzione di società cooperative senza scopo di lucro “evidentemente soltanto apparente”, precisa il Gip, Melaragno creava rapporti di lavoro con i soci-lavoratori e “scaricava” su questi “gli oneri contributivi” anziché sulla cooperativa che, a norma di legge, nasce come entità a scopo mutualistico per permettere agli associati di ottenere sgravi fiscali. I tassisti, in un gruppo Facebook dedicato “Liberi da Melaragno”, riferiscono che negli anni hanno subito “ogni tipo di angheria” trovandosi “costretti in alcuni casi alla miseria”. Ai tassisti, sulle buste paga di comodo che venivano emesse dalle cooperative, erano sottratte indebitamente diverse migliaia di euro al mese. Ognuno, a prescindere dagli incassi e quindi anche nel periodo del lockdown, doveva corrispondere somme che contemplavano una quota associativa di 50 euro, l’affitto della licenza che variava dai 400 ai 1000 euro, un fondo per i contributi da circa 600 euro e altri costi tra cui 300 euro per il carburante da ricaricare su una carta intestata alla società, sia che questo fosse utilizzato o meno, e 127 euro per i buoni pasto.

LA RETE – Per il Gip, Melaragno risulta rappresentate legale di ben 19 società, di cui 13 cooperative con lo stesso oggetto sociale, e in via della Magliana Nuova aveva la sede nevralgica da cui venivano gestiti i servizi offerti a circa 1000 soci tra cui 400 sostituti alla guida. Grazie anche al suo ruolo di presidente del Mit, Melaragno riusciva a ottenere l’iniziale fiducia delle vittime che, agevolate in pratiche burocratiche verso l’Inps e l’Erario, alla fine cadevano nella rete senza poi poterne uscire. Melaragno non perdeva occasione per minacciare le vittime di licenziamento, di privarle dell’automobile di servizio ma anche del permesso per circolare in Ztl, quando queste chiedevano di uscire dalla società. “Ormai sei incatenata e solo io posso decidere quando puoi andare via”, l’espressione rivolta a una delle vittime. Ma il re delle cooperative, a seguito del fallimento di alcune sue società, per gli inquirenti non ha esitato a minacciare anche gli amministratori giudiziari nominati dal tribunale: circostanza che non è sfuggita alle intercettazioni degli inquirenti i quali, a quel punto, non hanno potuto far altro che chiederne la custodia cautelare.

L’INCHIESTA – Le indagini sono partite dopo la denuncia di un tassista che nel dicembre del 2020 non si è visto accreditato il Fis riconosciutogli dall’Inps. Da lì sono iniziate prima le intercettazioni, poi le perquisizioni. Ed è emerso innanzitutto che “la busta paga” emessa ai soci “era redatta per importi e voci non corrispondenti al vero”, precisa il Gip. Le indagini hanno rivelato che “la modalità di gestione delle cooperative, sia pur inizialmente ritenuta vantaggiosa perché apportava facilitazioni nei rapporti con Inps ed Erario finiva per trasformarsi in una trappola per i soci lavoratori che non riuscivano più a sottrarsi al meccanismo non appena comprendevano le finalità di sfruttamento“. Adesso le cooperative e società sono state formalmente sciolte e il ministero dello Sviluppo economico ha nominato dei commissari liquidatori. I tassisti su Facebook esultano: “La notizia era attesa dalla platea, questo signore ne ha fatte di ogni colore, ben prima del 2018. Siamo soddisfatti per le persone coinvolte, ho dedicato a questo gli ultimi cinque anni. Ora ci aspettiamo un passo avanti, che siano riconsegnate le cooperative ai soci per permettere loro di continuare a lavorare”, commenta Andrea Sammartino, consulente di diritto della circolazione stradale che sta seguendo il caso.

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