Fino al 2019 Claudio Squeo, pugile trentenne di Molfetta senza l’ombra di una sconfitta, ha combattuto nella categoria cruiser, poi una volta passato nei pesi massimi è salito sul ring quattro volte, battendo l’italiano Sergio Romano (10 vittorie, 16 sconfitte, 3 pari), Andrea Cuffaro al suo debutto, il bosniaco Dragan Dragojevic (zero vittorie in carriera) e il croato Hrvoje Bozinovic (2 vittorie e ben 25 sconfitte). “Dopo aver battuto Romano per ko tecnico al secondo round, al mio esordio dopo il passaggio di categoria, quelli del mio staff hanno provato a chiamare tutti i pesi massimi italiani, dando la possibilità di combattere a casa loro ma non abbiamo avuto l’ok da nessuno”.

Perché?
In Italia è difficile organizzare titoli nazionali dei massimi, siamo in pochi e gli sponsor mancano sempre. Credo che nessuno volesse rischiare di combattere con me in un match senza cintura in palio. Sono un pugile atipico per la categoria: veloce, potente, con il baricentro basso.

Il 2 ottobre torna sul ring a Roma.
Pochi giorni fa ho firmato il contratto con il promoter Davide Buccioni, secondo me è il manager più importante in Italia, uno che investe sui propri pugili. Me lo volevo meritare il manager, che fosse lui a chiamare me. Ecco perché non ne ho avuti finora. Ultimamente ho avuto alcune proposte ed ho accettato quella di Davide. Pesi massimi del mio calibro non ne ha avuti, vorrà sicuramente farmi arrivare…

Dove?
L’Europeo è assolutamente un obiettivo, io non mi pongo mai limiti, ovvio che il titolo mondiale è un’utopia. Credo che mi sarei meritato il titolo italiano già tempo fa.

Ai primi di settembre sembrava fosse in programma una semifinale al titolo con Emanuele Venturelli. Poi cosa è successo?
Bisognerà andare all’asta, dopodiché si deciderà data e luogo. Non credo sia saltato il match.

Pochi giorni fa Ivan D’Adamo ha difeso il suo titolo con Paolo Iannucci.
D’Adamo ha 41 anni, è bravo ed ha un gran fisico. Ma non mi fa paura.

Il fatto che tra i massimi lei abbia affrontato soprattutto mestieranti, non è un limite?
La mia carriera è stata atipica, nei primi tre match tra i cruiser ho sconfitto pugili di valore. Che nessuno poi abbia voluto incontrarmi, a livello psicologico mi ha caricato ancora di più. Io sono sicuro di me stesso.

Ha fatto anche una bella carriera da dilettante, andando in Nazionale.
Sono stato dieci anni tra i dilettanti per formarmi come atleta. Ma io ho sempre voluto diventare un professionista sin da quando ho iniziato da ragazzino.

Per il momento ha messo da parte la laurea magistrale in Giurisprudenza presa all’Università di Bari?
Sì, mi sarebbe piaciuto fare biologia marina ma avrei dovuto spostarmi da casa e la facoltà richiedeva la frequenza obbligatoria. Io mi alleno da sempre a Molfetta e per fare la boxe bisogna dedicarsi al cento per cento, non è un gioco. O la si fa seriamente o è meglio non farla. Per un periodo ho lavorato come portalettere, ma io mi devo allenare tre volte al giorno. Era diventato impossibile. Io ci voglio provare, oltre che la mia passione, da 15 anni la boxe è la mia ragione di vita.

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