Da oggi El Salvador è il primo Paese al mondo ad accettare il Bitcoin quale mezzo di pagamento legale. È l’effetto della legge voluta dal presidente Nayib Bukele ed entrata in vigore il 7 settembre, un provvedimento che punta a favorire lo “sviluppo economico” facendo risparmiare ai cittadini 400 milioni di dollari in commissioni sulle rimesse dagli altri Stati. C’è però chi teme che l’effetto reale sia quello di alimentare il riciclaggio di denaro e allontanare gli investitori stranieri.

Dopo l’annuncio a giugno, la legge che introduce la moneta digitale è stata approvata con 62 voti favorevoli su 84 al parlamento salvadoregno. La misura, che Bukele ha definito “storica”, equipara la regina delle cripto all’altra valuta ufficiale, il dollaro statunitense, imponendo a esercenti e aziende di accettarla dalle controparti. A tal fine, nel Paese verranno acquistati 400 bitcoin, per un controvalore di 21 milioni di dollari, e saranno installati 200 sportelli per consentire la conversione fra i due mezzi di regolamento senza esporre i cittadini a costi aggiuntivi. Previsto un meccanismo di promozione nazionale per avvicinare allo strumento: l’equivalente di 30 dollari in bitcoin sarà regalato a chiunque utilizzi il portafoglio digitale disponibile su un’apposita applicazione chiamata Chivo. Il tutto è finanziato da un fondo ad hoc creato dal Congresso di El Salvador del valore di 150 milioni di dollari.

Secondo Bukele la legge dovrebbe portare “inclusione finanziaria, investimenti, turismo, innovazione e sviluppo economico”, con un focus soprattutto sui risparmi dalle rimesse. Si tratta di un flusso proveniente per la maggior parte dagli Stati Uniti che l’agenzia Reuters ha stimato in 6 miliardi di dollari, l’equivalente del 23% del Pil nazionale, e sul quale il presidente conta di ridurre il peso delle commissioni. Più scettici però i destinatari dell’intervento. Un’indagine della Central American University svela come solo il 4,8% di 1.281 intervistati conosca il Bitcoin mentre ben il 68% si dichiari contrario alla sua legalizzazione. E altri sondaggi condotti dalla Camera di commercio locale hanno fatto emergere che oltre l’80% dei rispondenti considera la valuta troppo volatile. Nel periodo tra dicembre 2020 e aprile 2021, il prezzo del bitcoin è in effetti passato da 18.770 a 63.540 dollari, salvo poi subire diverse battute di arresto seguite da altrettanti rimbalzi che oggi restituiscono un valore di oltre 50mila dollari.

Dello stesso avviso anche la Banca Centrale e le principali agenzie di rating: la prima ha sollevato dubbi sulla trasparenza e sui possibili danni all’ambiente connessi all’attività di minining, cioè alla risoluzione dei calcoli necessari ad aggiornare la complessa stringa di codice che governa tutto il sistema da parte del singolo terminale; le seconde, e più nello specifico, Moody’s hanno tagliato il rating del Paese. Non manca, infine, chi considera a rischio il prestito da un miliardo di dollari chiesto al Fondo Monetario Internazionale.

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