Negli ultimi 50 anni i consumi di carne hanno subìto un netto incremento a livello globale, tanto che oggi nel mondo il 70% della biomassa di uccelli è composto da pollame destinato all’alimentazione dell’uomo. Solo il 30% da uccelli selvatici. Ogni anno vengono macellati a scopo alimentare 50 miliardi di polli, di cui circa il 70% allevati in maniera intensiva.

Tra i mammiferi, le proporzioni sono ancora più impressionanti: il 60% del peso dei mammiferi sul nostro Pianeta è costituito da bovini e suini da allevamento, il 36% da umani e appena il 4% da mammiferi selvatici. Ed ecco perché, di tutti i sistemi umani che utilizzano a proprio beneficio le risorse naturali, il maggior responsabile della crisi ecologica che stiamo affrontando è quello alimentare e, in primis, la filiera della carne.

Solo gli allevamenti intensivi sono responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra, utilizzano circa il 20% delle terre emerse come pascolo e il 40% dei terreni coltivati per la produzione di mangimi. Gli animali commerciati o allevati insostenibilmente sono, inoltre, pericolose fonti di malattie zoonotiche, gravi minacce per il Pianeta e per la nostra stessa specie.

Alla vigilia del Pre Summit Food, i cui lavori saranno avviati il 26 luglio a Roma, il Wwf lancia il report Dalle pandemie alla perdita di biodiversità. Dove ci sta portando il consumo di carne, che si inserisce all’interno della campagna Food4Future lanciata ad aprile di quest’anno, che mira a promuovere sistemi alimentari più resilienti, inclusivi, sani e sostenibili.

IL PIANETA ALLEVATO – Nel 2019, a livello globale, la produzione di carni (bovine, ovine, avicole e suine) è arrivata a 337 milioni di tonnellate, prodotte prevalentemente in sistemi intensivi. La carne suina rappresenta tipicamente oltre un terzo della produzione mondiale, il pollame il 39% e la carne bovina il 21%. L’Italia, con 23 milioni di capi allevati, è quarta in classifica in Ue per numero complessivo di capi. Ogni 100 abitanti, ci sono circa 11 mucche, 14 maiali, 11 pecore e 1,75 capre.

Dagli anni Sessanta a oggi, la popolazione mondiale è più che raddoppiata, arrivando a oltre 7,8 miliardi di persone. Nello stesso arco di tempo, il reddito medio globale è più che triplicato e in maniera proporzionale anche il consumo di carne, che varia a seconda dei Paesi. Nei Paesi sviluppati si consumano circa 70 chilogrammi pro-capite annui di carne contro i 27 dei Paesi in via di sviluppo. E negli ultimi 50 anni anche il consumo medio di latte e uova è aumentato, rispettivamente del 90 e del 340 per cento.

“Il sistema agroalimentare porta nelle nostre case i frutti del lavoro di centinaia di milioni di persone in mare e a terra e i benefici di ecosistemi vicini e lontani”, spiega Isabella Pratesi, direttore Conservazione di WWF Italia, sottolineando però che “proprio questo sistema, entrato negli ingranaggi voraci di sistemi economici ed industriali globali, si è trasformato in un letale nemico di foreste, oceani, biodiversità e, non ultimo, della nostra stessa salute”. Da qui la necessità “di ripensare il nostro sistema alimentare globale a partire dagli allevamenti intensivi”.

MALATTIE INFETTIVE, RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI, CLIMA – Il 60% delle malattie infettive umane e circa il 75% di quelle emergenti, che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni (come la malattia del Nilo occidentale, la SARS, l’influenza suina A H1N1), sono di origine animale. Oltre alla diffusione delle malattie “gli appetiti umani per la carne – spiega il rapporto – sono il motore scatenante di molte delle principali categorie di danno ambientale che oggi minacciano il futuro dell’umanità”.

L’inquinamento dell’aria e dell’acqua, i cambiamenti climatici, la distruzione di habitat prioritari, tra cui le foreste e le savane per fare posto a pascoli e monocolture destinate a produrre mangimi animali, l’alterazione dei cicli bio-geochimici, la resistenza agli antibiotici. Oltre il 50% degli antibiotici utilizzati globalmente, per esempio, è destinato all’allevamento animale e al settore veterinario, rappresentando un fattore di rischio per la selezione e diffusione di batteri resistenti. Oggi, in Europa, un terzo delle infezioni è causato da batteri resistenti agli antibiotici.

“Purtroppo – ricorda il Wwf – il nostro Paese detiene il triste primato nel contesto europeo, della mortalità per antibiotico-resistenza con il 30% dei decessi totali dovuti a batteri resistenti”. Un altro notevole impatto degli allevamenti è quello sul cambiamento climatico. “Le emissioni di azoto causate dagli allevamenti – spiega il rapporto – sono un terzo di quelle prodotte dall’uomo. A livello europeo, la produzione agricola è responsabile del 12% delle emissioni di gas serra: la maggior parte di queste emissioni (oltre il 60%) deriva dagli allevamenti, in particolare dal bestiame bovino. Inoltre, in Italia gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da polveri sottili, preceduti solo dal riscaldamento degli edifici.

L’APPELLO – In vista del Pre-Summit delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari, il Wwf si rivolge in primis alle istituzioni. “Serve attuare una transizione ecologica dei metodi di allevamento e delle pratiche agricole eliminando logiche rivolte al profitto che vedono sempre più animali allevati e prezzi sempre più bassi”, spiega Eva Alessi, responsabile Sostenibilità di WWF Italia. Per l’Ue e l’Italia questo significa “eliminare i sussidi agli allevamenti intensivi” e sostenere aziende agricole che producono con metodi biologici e estensivi. Per rafforzare il biologico, invece “occorre incentivarne il consumo anche sul piano fiscale, attraverso l’applicazione di un’aliquota Iva agevolata al 4%”.

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