Non solo le basi di Hamas, i covi del Jihad Islamico, le “case sicure”, garage dove hanno trovato riparo i miliziani di Gaza, ma anche abitazioni normali, fognature, generatori di elettricità, fabbriche di gelato e di materassi, fattorie con animali da latte, ospedali, uffici, negozi. Niente è stato risparmiato nella Striscia dal tiro al bersaglio fatto da Israele con i caccia F-16 e i droni guidati con il joystick. Gli attacchi aerei in 11 giorni di Operazione “Guardian of the Walls” hanno ucciso più di 230 persone, colpito oltre 1.500 “obiettivi terroristici” a Gaza, incluse 675 “basi di lancio di razzi” e più di 200 “terroristi neutralizzati”.

Stando alle Forze di difesa israeliane (Idf), anche più di 90 chilometri della “metropolitana” – la rete di tunnel sotterranei di Hamas – sono stati distrutti. Nei raid sono rimaste ferite 1.200 persone, distrutte più di 1.000 unità abitative e commerciali, mentre più di 750 sono state rese inabitabili, e sfollato oltre 77.000 persone, secondo i conteggi dei funzionari di Gaza e delle Nazioni Unite. Diciassette cliniche e ospedali sono stati danneggiati, così come tre grandi impianti di desalinizzazione, linee elettriche e fognature, lasciando 800mila residenti, quasi la metà della popolazione, senza un facile accesso all’acqua potabile. Più di 53 scuole sono state danneggiate. Circa 92 milioni di dollari di danni sono stati arrecati agli alloggi residenziali e agli uffici di varie organizzazioni non governative.

Anche la rete elettrica di Gaza è stata danneggiata, provocando danni stimati per 22 milioni di dollari. La fornitura di elettricità è stata ridotta a tre o quattro ore al giorno a causa delle strutture compromesse. Gli abitanti di Gaza che gestiscono generatori di quartiere, che forniscono elettricità ai residenti a un prezzo più caro, hanno annunciato che i loro servizi saranno limitati a causa della scarsità di carburante. Domenica 500mila litri di nafta sono stati portati nella Striscia attraverso il valico di Rafah, in Egitto. Ciò consentirà alla centrale elettrica di Gaza di continuare le operazioni, anche se in misura minore rispetto a prima della guerra, quando forniva otto ore di energia seguite da otto ore di black out. La fornitura limitata di elettricità ha gravemente compromesso anche il sistema idrico di Gaza. Oltre il 95% dell’acqua prelevata dalla falda acquifera locale non è potabile e deve essere purificata e desalinizzata. Ma per farlo serve l’elettricità, così come per gli impianti di trattamento delle acque reflue e le pompe. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, a causa della chiusura o del funzionamento limitato delle strutture idriche e igieniche, l’approvvigionamento idrico è crollato di oltre il 40%. La situazione è peggiorata un paio giorni prima del cassate-il-fuoco, quando le condutture dell’acqua e delle fognature che servono più di 140mila persone nell’area di Khan Yunis e nella zona centrale di Gaza sono state danneggiate da attacchi aerei. In totale, finora sono stati danneggiati 10mila metri di fognature sotterranee e linee d’acqua, nonché reti di acque reflue.

Sono 1.335 le abitazioni distrutte durante i bombardamenti israeliani. Secondo l’Onu, il numero degli sfollati – quelli le cui case sono state distrutte o quelli che sono fuggiti a causa degli intensi bombardamenti – ha superato le 77mila persone. Circa 47mila di loro hanno trovato rifugio nelle scuole dell’Unrwa e il resto da parenti e amici. Circa 12.800 abitazioni sono state parzialmente danneggiate. Centinaia di uffici privati e di Ong sono stati gravemente danneggiati e 33 uffici stampa sono stati completamente demoliti. Il numero totale di strutture abbattute o gravemente danneggiate si attesta a 184. Una di queste apparteneva alla Mezzaluna Rossa del Qatar, ospitato nell’edificio al-Shawwa nel centro di Gaza City. Anche una banca nello stesso edificio è stata gravemente danneggiata. I raid si sono abbattuti anche sulla clinica al-Rimal che ospitava il laboratorio principale per i test Covid. Di conseguenza, il laboratorio ha interrotto il lavoro. Nel mirino dei caccia è entrata anche una struttura di cinque piani, la libreria e la casa editrice Al-Nahda sono state demolite, così come una farmacia e l’ufficio centrale dell’Istituto per gli orfani al-Amal.

Il settore agricolo di Gaza ha finora subito danni per circa 24 milioni di dollari a causa del bombardamento di campi coltivati, strutture per animali e sistemi di irrigazione, secondo stime preliminari del ministero dell’Agricoltura di Hamas. Le ostilità hanno causato danni per 40 milioni di dollari al commercio e all’industria di Gaza, alcune fabbriche hanno subito colpi diretti nelle offensive militari israeliane. Un attacco di artiglieria israeliana su Beit Lahia ha colpito gli uffici della società di importazione Al-Khdeir Brothers, della società farmaceutica Al-Mudawar e della Maatoug Booza Factory, la più grande fabbrica di gelato (italiano) nella Striscia. Frigoriferi, materie prime, macchine e attrezzature, linee elettriche per la produzione commerciale, tutto è andato distrutto. Così come alla fabbrica di materassi Foamco, la più importante della Striscia.

La distruzione aggrava una crisi economica a lungo termine a Gaza, dove il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 50%. Israele ed Egitto impongono un blocco a Gaza per limitare il flusso di armi e munizioni ad Hamas che gran parte del mondo considera un’organizzazione terroristica. I due Paesi limitano chi e cosa può entrare nell’enclave e controllano gran parte del suo approvvigionamento energetico, mentre solo Israele controlla il suo spazio aereo, i diritti di pesca marittima, il registro delle nascite e i dati cellulari.

Una prima stima valuta i costi per la ricostruzione dopo questi 11 giorni di conflitto in mezzo miliardo di dollari, comprese le fabbriche del gelato e quella dell’inscatolamento di pomodori rase al suolo dell’aviazione, i danni all’agricoltura e all’allevamento per gli animali uccisi nei raid. Chi pagherà per questi danni bellici? Una fabbrica di gelato può essere definito un obiettivo militare? E una scuola elementare dell’Unrwa? Molte delle strutture distrutte – depuratori, desalinizzatori, strumenti filtranti, strade, ponti, fognature – erano poi state finanziate dalla comunità internazionale, dall’Onu e dall’Unione europea. Adesso chi avrà il coraggio di mettere un euro su un progetto che alla prossima crisi sarà comunque spazzato via di nuovo dalla furia delle “bombe intelligenti” senza che nessuno dei Paesi donatori pronunci una sommessa protesta?

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