I giudici della prima Corte d’Assise hanno condannato all’ergastolo Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, i due ventenni americani imputati per concorso in omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso con undici coltellate la notte del 26 luglio 2019 a pochi passi da piazza Cavour, zona centrale della Capitale. Ad attendere il verdetto oltre ai familiari del militare dell’Arma anche la moglie Rosa Maria Esilio. La donna, piangendo di commozione, ha abbracciato i familiari e all’avvocato Franco Coppi ha detto: “Non morirà mai più”. La decisione della Corte, presieduta da Marina Finiti, arriva dopo oltre 13 ore di camera di consiglio: i due imputati sono stati condannati anche all’isolamento diurno per la durata di due mesi.

La donna ha seguito le varie fasi del processo, svolto in oltre 50 udienze, in cui sono stati ascoltati periti, testimoni e gli stessi imputati. Un percorso giudiziario a tappe forzate, udienze si sono svolte anche durante il primo lockdown, in cui è stata di fatto “sezionata” sotto ogni profilo la drammatica notte di due anni fa. Una vicenda nata dopo che i due americani, in cerca di droga a Trastevere, avevano rubato lo zaino del facilitatore dei pusher Sergio Brugiatelli. Da quell’episodio è nata la “trattativa” per la restituzione della borsa culminata con le 11 coltellate inferte da Elder a Cerciello, che era intervenuto con il collega Andrea Varriale per recuperarla.

“Una sentenza severa ma corrispondente al delitto atroce che è stato commesso. E’ una pena adeguata alla gravità del fatto per i due imputati, non hanno dato alcun segno di pentimento“, il commento dell’avvocato Franco Coppi, legale della famiglia del vicebrigadiere. Parla invece di “una sentenza ingiusta e incomprensibile” invece l’avvocato che difende Gabriel Natale Hjorth.

La Procura di Roma aveva chiesto il carcere a vita per i due imputati. Nella requisitoria del 6 marzo scorso, la rappresentante dell’accusa, Maria Sabina Calabretta, ha affermato che questa vicenda è caratterizzata da “fatti gravi” e “grave è l’ingiustizia che è stata commessa contro un uomo buono, che stava lavorando”. Nel corso della requisitoria il magistrato ha ricostruito, in modo dettagliato, quanto avvenuto quella notte di luglio di due anni fa. “Tutti ci dicono che Cerciello e Andrea Varriale (in pattuglia quella notte con il vicebrigadiere ndr) – ha puntualizzato il pm – quando incontrano Brugiatelli si comportano in modo professionale e non confidenziale. Possiamo escludere una conoscenza pregressa con lui”.

Il pm ha quindi raccontato della “fuga” dei due americani nell’albergo, nella zona Prati, dove alloggiavano da alcuni giorni. E ha ricostruito le telefonate intercorse tra loro e Brugiatelli per organizzare la riconsegna del cellulare e dello zaino. I due svolsero anche una sorta di perlustrazione di via Gioacchino Belli, la zona dove sarebbe dovuto avvenire l’incontro, verificando pure la presenza di videocamere. “Non fu legittima difesa, entrambi sono andati all’incontro preparandosi, erano pronti a tutto. Non si sono preoccupati della salute della vittima, sono scappati e hanno nascosto il coltello”, ha dichiarato in aula il pm. Ricostruendo le fasi della lite, la rappresentante dell’accusa ha spiegato che “i carabinieri si sono qualificati, hanno mostrato il tesserino ed erano in servizio: si sono avvicinati frontalmente, non alle spalle. Cerciello non è stato ammazzato con una coltellata ma con undici fendenti in meno di trenta secondi. La vittima non avuto il tempo di elaborare nessuna difesa attiva” e comunque “avrebbe potuto poco anche se fosse stato armato e non lo era”.

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