Quando martedì scorso le autorità sanitarie degli Stati Uniti hanno raccomandato di sospendere il vaccino Johnson&Johnson dopo aver accertato sei casi di trombosi rara su 6,85 milioni di dosi inoculate, in meno di 24 ore i principali canali social del governo federale hanno rilanciato un breve video per rassicurare i cittadini. 2 minuti e 16 secondi in cui l’immunologo di fama mondiale Anthony Fauci, il volto dell’America nella lotta al Covid, risponde ai dubbi e spiega che lo stop serve “per indagare un po’ più a fondo” su un evento estremamente raro – che non intacca “efficacia e benefici” del siero – e per indicare al personale medico come comportarsi nel caso in cui i pazienti manifestino certi sintomi. La clip in realtà è solo la punta dell’iceberg di una strategia di comunicazione di massa sui vaccini che negli Usa è partita già a febbraio, coinvolgendo i colossi della Silicon Valley, emittenti radio e tv, star di Hollywood e dello sport, e a cui il presidente Joe Biden ha intenzione di dare un’ulteriore spinta. Lo stesso è accaduto in altri Paesi, da Israele al Regno Unito.

In Italia, invece, salvo sporadici spot, la campagna mediatica “invasiva” promessa dall’ex commissario all’emergenza Domenico Arcuri per gennaio non è mai partita. Ed è avvolta nel mistero quella a cui starebbe lavorando il premier Mario Draghi. “Nel nostro Paese in realtà il problema è ancora peggiore, perché chi guida le istituzioni non è nemmeno capace di spiegare alla popolazione il perché di ciò che accade, unendo i puntini tra le decisioni adottate finora, gli eventuali cambi di rotta e ciò che ci aspetta in futuro. Spesso si lascia il compito ad altri“, commenta a Ilfattoquotidiano.it Giovanna Cosenza, ordinaria di Semiotica all’università di Bologna e blogger del nostro sito. “Di fronte a questo andirivieni sui vaccini la comunicazione è fondamentale, invece siamo di fronte a un eccesso di silenzio, dove quasi tutto il lavoro è affidato ai media e ai virologi in tv. Il rischio è che la confusione alimenti ancora di più il malessere e il disagio delle persone“, con conseguenze a livello economico e psicologico che “stiamo già vedendo nelle piazze“.

“It’s up to you”, la campagna negli Usa – Negli Stati Uniti un grande assist agli sforzi della Casa Bianca per convincere i cittadini a vaccinarsi contro il Covid è arrivato a fine febbraio, quando il gruppo pubblicitario no profit Ad Council ha lanciato la campagna di massa “It’s up to you” (Dipende da te) in collaborazione con la coalizione di politici bipartisan e scienziati Covid Collaborative e i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, cioè l’agenzia federale Usa che si occupa delle somministrazioni. Annunci e videomessaggi sono comparsi in tv, sui social media e altre piattaforme. Sono stati elaborati sia in inglese che in spagnolo e puntano soprattutto a convincere i più scettici sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini. Secondo una ricerca commissionata dalla stessa associazione, infatti, circa il 40 per cento doveva ancora decidere se vaccinarsi e la disinformazione superava il 60 per cento soprattutto nelle comunità ispaniche e afroamericane. All’iniziativa, che nel tempo ha raccolto più di 500 milioni di dollari, hanno aderito centinaia di aziende – tra cui Google, Facebook, Apple, Disney e Amazon – emittenti televisive, associazioni di volontariato e federazioni sportive (dalla Nfl all’Nba). In una clip compaiono insieme anche tre ex presidenti degli Stati Uniti: Barack Obama, Bill Clinton e George W. Bush. A tutto questo – riferisce il New York Times – si affianca la comunicazione istituzionale della Casa Bianca, entrata nel vivo ad aprile anche per consentire a Biden di raggiungere il target delle 200 milioni di dosi somministrate entro i 100 giorni di presidenza. 270 le organizzazioni aderenti, tra cui diversi gruppi cattolici ed evangelici, il cui obiettivo è quello di superare certe preoccupazioni religiose legate ai vaccini e sgombrare il campo dalla disinformazione su efficacia e sicurezza.

A che punto siamo in Italia – Un’operazione che doveva partire anche in Italia, almeno secondo le intenzioni dell’ex commissario all’emergenza Arcuri. “Da fine gennaio inizieremo una campagna di comunicazione molto invasiva e speriamo molto persuasiva sulle vaccinazioni. Avremo un call center, un sito. Soprattutto le persone fragili dovremo contattarle noi”, aveva annunciato prima di Natale. Un primo assaggio si era visto con gli spot televisivi firmati dal regista Giuseppe Tornatore, ma poi la crisi di governo e l’avvicendamento tra Arcuri e il generale Francesco Paolo Figliuolo hanno congelato tutto. Almeno fino a metà marzo, quando lo start&stop su Astrazeneca e i timori legati a possibili rinunce da parte dei cittadini hanno spinto il governo Draghi a riconsiderare l’idea. “Il via libera dell’Ema ad AstraZeneca è un’ottima notizia”, ha dichiarato la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini. “Bene trasparenza e chiarezza, essenziali su questi temi. Ora serve una campagna di comunicazione per rafforzare il piano vaccinale e riprendere le somministrazioni a pieno regime”. Stando a un retroscena comparso su Repubblica in quei giorni, i lavori erano già in fase avanzata: Palazzo Chigi punterebbe a coinvolgere personalità come Francesco Totti e Valentina Vezzali, ma anche cantanti, attori e artisti, grazie all’appoggio delle principali testate radio-televisive del Paese, quotidiani e siti d’informazione. Da allora, però, della campagna di comunicazione firmata Draghi si sono perse completamente le tracce.

Cosenza al Fatto.it: “Governo Draghi si distingue per l’assenza” – “Gli spot di gennaio erano un vero disastro dal punto di vista comunicativo, serve una strategia su diversi mezzi e diversi canali”, commenta la professoressa Giovanna Cosenza. “Ancora prima di arrivare a questo, però, è molto importante che le istituzioni si rivolgano al pubblico in modo diverso rispetto a quanto fatto finora”. Secondo la docente di Semiotica, chi ci governa deve saper “spiegare le incertezze” sui vaccini. Non trasformandole in certezze e annunci, perché la scienza non ne ha, ma chiarendo “i motivi” alla base di ciascun cambio di rotta. Bisogna fare “come si fa con i bambini“, continua Cosenza. Il governo, invece, “comunica solo le decisioni, lasciando agli altri i collegamenti. In tv non vediamo mai il presidente del Consiglio affiancato da un virologo o dal ministro della Salute. È proprio questo che servirebbe in una fase come quella che stiamo vivendo”. Un possibile esempio al quale ispirarsi, ragiona Cosenza, è proprio quello degli Stati Uniti, dove il governo federale si è affidato a un’unica personalità scientifica per comunicare le sue scelte, cioè “Anthony Fauci”.

Per rendere “meno disorientante” l’andirivieni sui vaccini, aggiunge, basterebbe quindi che il premier, il ministro della Salute Roberto Speranza e un rappresentante del Cts si presentassero uniti per “assumersi l’onere e l’onore di giustificare ripensamenti e cambiamenti di rotta”. Magari ricorrendo a “certi stratagemmi”, come quello del paragone probabilistico che ora è diventato molto frequente tra i virologi. “Dire che ‘il rischio di morire per incidente stradale è molto più elevato rispetto a quello di vaccinarsi con Astrazeneca’ è una formula che può aiutare, perché si riconduce la probabilità scientifica a un evento ordinario che tutti conoscono”. Altrimenti, continua la docente, “c’è sempre il rischio che il fronte degli anti-vaccinisti si allarghi. Il mio timore più grande riguarda il costo psicologico della pandemia, ulteriormente aggravato dalla confusione che si genera a livello mediatico”.

Per la docente di Bologna in realtà le premesse per arrivare a una voce istituzionale univoca su Covid e vaccini ci sarebbero. Il governo Draghi è nato “per mettere da parte le divisioni” e l’unica “dissonanza politica forte è quella di Matteo Salvini“, spiega, e “si sa che, dopo un po’, la voce che stride arriva in modo chiaro”. Il problema è che manca proprio la volontà: “Se il governo Conte sbagliava per eccesso di comunicazioni, questo sbaglia per difetto“. L’ex premier, chiarisce, “qualche volta ha fatto un uso superficiale dei vari mezzi, ad esempio quando si è pensato di coinvolgere gli influencer rivolgendosi unicamente ai Ferragnez e non anche a chi è molto attivo sui vari territori”. Draghi, invece, “sembra volerlo evitare, ma per non sbagliare cade nell’assenza. E in una situazione di caos come questa non ce la possiamo affatto permettere”. Solo quando saranno davvero superati questi ostacoli, conclude Cosenza, si potrebbe pensare di mettere in piedi “una campagna di comunicazione integrata e multimediale” che sia gestita e “orchestrata da Palazzo Chigi. Una strategia che comprenda quindi affissioni per strada (in Usa e nel Regno Unito ci sono state), trasmissioni radio e tv, video sui social media istituzionali e non, coinvolgimento verticale degli influencer. Ma per ora mi accontenterei di poche voci autorevoli che siano capaci di spiegare davvero agli italiani quello che accade”.

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