“Oggi, 76 anni fa, veniva liberato mio padre nel campo di Buchenwald“. Inizia così il ricordo, affidato alla sua pagina facebook, di Emanuele Fiano, deputato del Pd. Suo padre, Nedo, è stato uno dei più attivi e noti testimoni della Shoah in Italia: ha girato centinaia di scuole, è comparso in decine di documentari, ha scritto diversi libri. Nedo Fiano è morto a dicembre dello scorso anno a 95 anni. Furono i fascisti ad arrestarlo perché ebreo: stava passeggiando in via Cavour, a Firenze, e lui aveva 18 anni, era il 6 febbraio 1944. Da lì Fiano fu traferito nel campo di transito di Fossoli, con altri 11 membri della sua famiglia. E infine ad Auschwitz, dove arrivò il 16 maggio del 1944. Fu l’unico superstite della sua famiglia. I nazisti in fuga lo trasferirono a Buchenwald, dove l’11 aprile 1945 arrivarono gli americani.

Così il figlio Emanuele, su facebook, ricorda la sua liberazione dal lager nazista: “L’11 aprile 1945 i militari della US 89th Infantry Division (l’89ª divisione fanteria della terza armata degli Stati Uniti) raggiunsero la zona. Le SS fuggirono e i prigionieri stessi liberarono il campo organizzando un sistema di autogestione interna. Nel pomeriggio i soldati del generale George Smith Patton spezzarono i fili spinati ed entrarono nel campo. La fotografia che pubblico mostra i prigionieri della baracca dove fu liberato Elie Wisiel a Buchenwald“.

Oggi, 76 anni fa, veniva liberato mio padre nel campo di Buchenwald. L’11 aprile 1945 i militari della US 89th Infantry…

Pubblicato da Emanuele Fiano su Domenica 11 aprile 2021

“Papà – continua il racconto – era moribondo su un pagliericcio, per via di una diffusa infezione della sua gamba bastonata dalle SS. Ricordava però l’ingresso di un soldato americano nella baracca e di lui che lo raggiungeva strisciando sui gomiti, percependone la sconosciuta fragranza del sapone Lifebuoy, che poi avrebbe ricercato tutta la vita. Il sapone della sua libertà.
Nessuno ovviamente mi racconterà più dal vivo quei momenti cristallizzati nella storia in cui una vita appesa ancora per poche ore alla sopravvivenza incontra la libertà. Nessuno di noi potrebbe mai capire fino in fondo”.

Fiano ricorda che l’11 aprile è anche il giorno in cui nel 1987 Primo Levi, l’autore di Se questo è un uomo e La tregua (tra gli altri), venne trovato morto nell’atrio del palazzo dove viveva, in corso Re Umberto a Torino. “Il corpo venne rinvenuto alla base della tromba delle scale dello stabile, a seguito di una caduta. Benché l’ipotesi di gran lunga più accreditata sia quella del suicidio, c’è chi sostiene che la caduta possa essere stata provocata dalle forti vertigini di cui Primo Levi soffriva – scrive ancora Fiano – Ricordo il volto di mio padre incredulo e silenziosissimo a questa notizia, forse incredulo che chi aveva resistito a simili violenze e dolori e solitudine e disperazione, fosse crollato poi a così tanta distanza di tempo, forse assalito dalle voci, forse dai rimorsi, o forse solo caduto. La vita è piena di non detti; ma è forse scavando nei non detti che si ritrovano molte risposte”.

Emanuele Fiano ha raccontato spesso sulla sua pagina facebook, con post molto ben scritti e molte volte toccanti, il suo rapporto degli ultimi anni con il padre Nedo e con la madre Rina Lattes e inevitabilmente con il loro percorso “della memoria”. Anche la mamma infatti era scampata alla deportazione degli ebrei voluta dal fascismo. E’ morta a febbraio, due mesi dopo il marito, dopo 71 anni di vita insieme. “Una vita insieme, una morte quasi insieme. Non poteva essere più giusto” aveva scritto Fiano in quell’occasione.

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