Continuano le purghe del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan nei confronti di chi è considerato tra gli ideatori o sostenitori del tentato golpe del 2016. Questa volta nel mirino del Sultano non sono finiti, però, membri dell’opposizione, giornalisti o professori universitari, ma dieci ex ammiragli della Marina di Ankara, accusati di “attentato all’ordine costituzionale”, mentre altri quattro sono stati obbligati a presentarsi in questura entro 72 ore, ma non detenuti vista la loro età avanzata.

I militari laici kemalisti sono colpevoli di aver diffuso nel fine settimana una dichiarazione pubblica, firmata da 104 ammiragli in pensione, per denunciare i rischi di un eventuale ritiro dalla Convenzione di Montreux firmata nel 1936 per regolare il traffico navale negli stretti turchi, il Bosforo e i Dardanelli, che collegano il Mar Nero al Mediterraneo orientale. Il trattato, che garantisce la circolazione dei mercantili e limita quella delle navi militari, era stato messo in discussione dopo il definito via libera al ‘Kanal Istanbul’, il canale artificiale lungo 45 chilometri da scavare sulla sponda europea della metropoli, in parallelo al Bosforo, imponendo una deviazione del traffico marittimo. Un progetto annunciato un decennio fa dallo stesso Erdoğan, allora primo ministro. Ma per il capo dello Stato, le critiche di oggi dei militari in pensione sono “allusioni a un golpe”, che non possono rientrare nell’ambito della “libertà d’espressione” e risultano “inaccettabili in un Paese il cui passato è pieno di colpi di Stato”, in riferimento a quello di cinque anni fa attribuito dallo stesso Erdoğan ai suoi ex alleati della rete di Fethullah Gülen.

La creazione del nuovo canale avrà un costo di 10 miliardi di dollari. Ankara si dice pronta ad avviare i lavori, ma il presidente del Parlamento, Mustafa Sentop, aveva dichiarato “possibile”, anche se non “probabile”, l’uscita della Turchia anche dal trattato di Montreux, dopo quella di due settimane fa dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Per i militari, una minaccia all’accordo che “meglio protegge gli interessi turchi”. La stessa posizione espressa pochi giorni prima anche da 126 ex ambasciatori.

Nel fronte comune delle élite laiche l’esecutivo aveva subito visto una minaccia. L’opposizione denuncia invece “una paranoia del golpe”, strumentalizzata per reprimere i dissidenti e distrarre l’opinione pubblica dai guasti dell’economia. E lo stesso Erdoğan non ha escluso oggi un futuro addio alla Convenzione sugli stretti se Ankara trovasse “un’opportunità migliore”.

Tra i militari fermati figura anche Cem Gurdeniz, esponente della corrente “euroasiatica” delle forze armate, scettica verso la Nato e aperta a Russia e Cina, nonché teorico della controversa dottrina della ‘Patria Blu’, impiegata proprio dal presidente turco per sostenere le sue ambizioni espansionistiche marittime nei confronti di Grecia e Cipro. Lo scontro torna in primo piano alla vigilia della delicata visita ad Ankara dei presidenti di Commissione e Consiglio Ue, Ursula von der Leyen e Charles Michel, che all’ombra dell’ennesima stretta di Erdoğan dovranno affrontare i dossier più caldi, dai migranti al Mediterraneo.

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