Quasi vent’anni dopo si chiude la vicenda giudiziaria legata al dissesto della Cirio. Una vicenda che inizio millennio gettò nel panico il mondo del risparmio italiano. A distanza di quasi 20 anni dalla dichiarazione di insolvenza, è diventata definitiva la condanna dell’ex patron del gruppo alimentare Sergio Cragnotti, noto perchè fu anche presidente della Lazio campione d’Italia 2000. La Cassazione ha confermato oggi i 5 anni e 3 mesi inflitti nel processo di appello bis, il 26 giugno 2019, dopo un precedente annullamento da parte della stessa Suprema Corte nel 2017.

“Una vicenda lunga e sofferta”, dice il difensore di Cragnotti, l’avvocato Nicoletta Piergentili, che ricorda come “la posizione del mio assistito era già stata molto ridimensionata dalla prima decisione della Cassazione che aveva rimandato il procedimento in Corte d’appello a Roma per il riconteggio della pena“. E’ la seconda volta, infatti, che il processo approda davanti alla Suprema corte: nell’ottobre 2017 i giudici avevano confermato, tra l’altro, 4 anni all’ex banchiere Cesare Geronzi, mentre avevano disposto una nuova pronuncia per Cragnotti in relazione a uno dei capi di imputazione più rilevanti. L’appello bis aveva ricalcolato la pena al ribasso, in 5 anni e 3 mesi. Ma la difesa di Cragnotti aveva presentato nuovamente ricorso ritenendo che la sentenza non avesse tenuto conto delle indicazioni della Cassazione in sede di rinvio. Un ricorso respinto oggi dalla Prima Sezione penale.

Alla fine Cragnotti esce assolto dal capo di imputazione più pesante, il reato di bancarotta per causazione del dissesto della Cirio Holding e della Cirio Finanziaria a seguito dell’acquisto della società Brombil, la pena si riferisce invece a fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale commessi quale amministratore di diritto e di fatto di società del gruppo Cragnotti & Partners. Può beneficiare dell’indulto, ma avanzerebbe un residuo di pena, per il quale potrebbe essere avanzata richiesta di affidamento al servizio sociale. Per la difesa, non rischia comunque il carcere, alla luce dell’età (ha 81 anni) e del periodo di detenzione già compiuto. Il dissesto del gruppo fu un trauma per i piccoli risparmiatori-investitori, proprio nello stesso periodo del default dell’Argentina e della vicenda dei tango-bond. L’inchiesta romana scattò nel 2003 con la riunione delle querele di alcuni obbligazionisti dopo il mancanto pagamento delle cedole. Secondo quanto ricostruiti negli anni, sarebbero 35mila i risparmiatori rimasti coinvolti.

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