Conferme, ritorni, qualche novità e una distribuzione di posti da manuale Cencelli. Ecco la lista completa dei profili dei 23 ministri del governo Draghi. Di questi, 15 sono politici: 4 M5s (Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli, Federico D’Incà, Fabiana Dadone), 3 Pd (Andrea Orlando, Dario Franceschini e Lorenzo Guerini), 3 Fi (Renato Brunetta, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini), 3 Lega (Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani). 1 Italia viva (Elena Bonetti) e 1 Leu (Roberto Speranza). Otto sono invece i tecnici: Marta Cartabia (Giustizia), Luciana Lamorgese (Interni); Vittorio Colao (Innovazione tecnologica); Daniele Franco (Economia), Roberto Cingolani (Ambiente e transizione ecologica); Enrico Giovannini (Infrastrutture e Trasporti), Patrizio Bianchi (Istruzione) e Cristina Messa (Università). Le donne, nonostante le ricostruzioni degli ultimi giorni che assicuravano sarebbe stata raggiunta la parità, sono solo otto (come nel Conte bis) e gli uomini quindici.

MINISTERI COL PORTAFOGLIO

Esteri e cooperazione: Luigi Di Maio (M5s) – Resta alla Farnesina uno dei leader del Movimento 5 stelle. E’ stato uno dei primi big ad aprire all’ingresso nel governo Draghi e ha supportato la svolta portata avanti da Beppe Grillo. Un anno fa si è dimesso dal ruolo di capo politico dopo i malumori per la gestione interna e al momento non è mai stato sostituito (Vito Crimi è reggente da più di 12 mesi). Anche per questo ha continuato a essere centrale e punto di riferimento per il Movimento, tanto da essere l’ago della bilancia in molte delle decisioni. Nato ad Avellino e cresciuto a Pomigliano D’Arco, ha 34 anni. Nel 2013, neoeletto alla Camera divenne vicepresidente a Montecitorio. Cinque anni dopo divenne il candidato presidente del Consiglio per il Movimento 5 stelle. Da leader ha curato la trattativa con la Lega che portò alla nascita del governo gialloverde. È stato vicepremier e ha guidato un super ministero che per la prima volta ha accorpato Lavoro e Sviluppo economico. Dopo la crisi di governo aperta da Matteo Salvini ha aperto la trattativa con il Pd, ma in posizione molto più scettica rispetto al precedente del governo. Tanto che venne accusato, da Beppe Grillo in primis, di voler “scambiare come una figurina” Giuseppe Conte. Nel governo giallorosso è arrivato alla Farnesina, dove resterà anche con il nuovo governo.

Interni: Luciana Lamorgese – Confermata anche l’ex ministra dell’Interno del governo Conte 2, l’unica tecnica dell’esecutivo giallorosso. Nata a Potenza, ha 67 anni. Era stata nominata con l’obiettivo si spoliticizzare il Viminale dopo l’ingombrante presenza di Matteo Salvini. È stata prefetta di Milano fino all’ottobre del 2018. Una laurea in giurisprudenza, avvocata, ha lavorato alla prefettura di Varese, alla direzione generale del ministero dell’Interno. È stata nominata prefetta di Venezia nel 2010. Dall’anno dopo è diventata “soggetto attuatore per la realizzazione e la gestione delle strutture di accoglienza nella Regione Veneto”. A Milano ha promosso l’accordo con i sindaci della città metropolitana per distribuire le quote migranti, scontrandosi più volte con alcuni esponenti della Lega. Dal 2013 al 2017 è diventata capa di gabinetto del Viminale, guidato prima dal ministro Angelino Alfano e poi da Marco Minniti, che l’ha nominata al vertice della prefettura milanese. Nel 2019 è diventata la terza donna a guidare il Viminale, dopo Rosa Russo Iervolino e Annamaria Cancellieri. Nel suo anno e mezzo al governo è stato modificato il decreto Sicurezza.

Giustizia: Marta Cartabia – Nel 2019 è stata la prima donna eletta presidente della Consulta, dove era stata nominata da Giorgio Napolitano nel 2011. Ordinaria di diritto Costituzionale alla Bicocca e poi alla Bocconi, allieva di Valerio Onida e di Joseph Weiler, è vicina a Comunione e Liberazione sin dai tempi degli studi universitari. Da tempo veniva accostata a ogni tipo di incarico istituzionale. Subentra ad Alfonso Bonafede e si troverà ad affrontare il complesso dossier della riforma della giustizia sul quale sono caduti sia il governo Conte 1 che il governo Conte 2.

Difesa: Lorenzo Guerini (Pd) – Riconfermato ai dem anche il ministero della Difesa. Guerini è nato a Lodi, ha 52 anni. È stato presidente della provincia di Lodi (1995-2004) e sindaco di Lodi (2005-2012). È stato deputato del Partito democratico nella diciassettesima e diciottesima legislatura. Dal 18 luglio 2018 è stato presidente del Copasir. Laureato in scienze politiche a Milano, è stato portavoce, vicesegretario e coordinatore del Pd renziano. Da quando Nicola Zingaretti è alla guida del Nazareno, Guerini – insieme a Luca Lotti – è il leader di riferimento di Base riformista, corrente maggioritaria nei gruppi parlamentari Pd.

Salute: Roberto Speranza (Leu) -Riconferma anche per una delle caselle più importanti nella gestione della pandemia. La componente Liberi e uguali mantiene la sua presenza nel dicastero della Salute con Speranza. Leader di Articolo 1, è uno dei protagonisti della scissione del Pd nel 2017, dopo mesi di tensione con la segreteria di Matteo Renzi. Inizia la sua carriera politica nella Sinistra Giovanile di cui era presidente nel 2007, con Fausto Raciti segretario. L’anno successivo Walter Veltroni lo vuole nei Giovani Democratici per creare la nuova organizzazione giovanile del Pd. Consigliere comunale con i Ds a Potenza da quando aveva 25 anni, tra il 2009 e il 2010 è stato assessore all’Urbanistica di Potenza. Poi comincia la scalata: prima coordinatore regionale del Pd della Basilicata. Poi coordinatore della campagna di Pier Luigi Bersani alle primarie del centrosinistra e alle elezioni politiche del 2013. Quindi viene eletto deputato e nominato capogruppo alla Camera. Incarico che lascia il 15 aprile 2015 in dissenso con la decisione del governo Renzi di porre la fiducia sulla nuova legge elettorale, l’Italicum. È tornato in Parlamento il 4 marzo 2018 con Liberi e Uguali.

Economia: Daniele FrancoDirettore generale di Bankitalia, ha trascorso l’intera carriera tra via Nazionale e il Tesoro con una tappa a Bruxelles come consigliere economico alla Direzione generale affari economici e finanziari della Commissione europea. Nel 2007 l’allora governatore Mario Draghi l’ha messo a capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria per poi promuoverlo direttore centrale dell’area Ricerca economica. Dal 2013 al 2019 ha guidato la Ragioneria generale dello Stato, che vigila sui conti pubblici e le coperture dei provvedimenti. È il quinto ministro dell’Economia che arriva da Palazzo Koch dopo Carli, Ciampi, Dini, Padoa-Schioppa e Saccomanni.

Sviluppo economico: Giancarlo Giorgetti – Torna al governo dopo essere stato sottosegretario del governo gialloverde, il vicesegretario federale della Lega. E’ stato tra i principali promotori dell’appoggio al governo Draghi da parte della Lega, tanto da essere considerato colui che ha convinto Salvini ha dire Sì. E’ parlamentare da sei legislature ed è stato eletto per la prima volta nel 1996. Segretario della Lega Lombarda dal 2002 al 2012, ha attraversato tutte le stagioni del partito, fedele prima a Bossi, poi a Maroni e infine a Salvini. Laureato in Economia alla Bocconi, commercialista e revisore, è stato presidente della commissione Bilancio della Camera dal 2001 al 2006 e dal 2008 al 2013. Nel 2001 è stato il principale autore della legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita, poi smontata quasi del tutto dalla Corte costituzionale. Cugino del banchiere Massimo Ponzellini, è stato tra l’altro nel cda della Credieuronord. Di quegli anni è il suo contatto con Gianpiero Fiorani della Banca Popolare di Lodi: lo stesso Fiorani nel 2004 si presentò nell’ufficio di Giorgetti alla Camera con 100mila euro in contanti, mentre Giorgetti era assente. Il deputato leghista restituì la mazzetta, ma non denunciò mai ai carabinieri il tentativo di corruzione. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2013 lo scelse nel “gruppo dei saggi” per le riforme istituzionali.

Infrastrutture e trasporti: Enrico GiovanniniEx capo economista dell’Ocse, presidente Istat e ministro del Lavoro del governo Letta, dal 2016 è portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile che ha come obiettivo far crescere la consapevolezza sull’importanza dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile. E’ anche alla guida della commissione che scrive ogni anno il rapporto sull’evasione fiscale e contributiva. Da numero uno dell’istituto di statistica ha promosso l’adozione di indicatori diversi dal pil per misurare il benessere del Paese. Da ministro ha varato la prima misura nazionale anti povertà, il Sostegno di inclusione attiva.

Agricoltura: Stefano Patuanelli (M5s) – I 5 stelle riescono a tenere nel governo un altro dei principali esponenti del governo Conte 2: Stefano Patuanelli, che però deve traslocare dallo Sviluppo economico all’Agricoltura. Triestino, classe 1974, sposato con tre figli, l’ingegnere edile nel corso della sua carriera professionale si è specializzato nella “progettazione e gestione dei processi edilizi, con particolare riferimento alle opere pubbliche”. Nel 2005 ha fondato il Gruppo Beppe Grillo Trieste, dal 2011 al 2016 è stato consigliere comunale nel capoluogo giuliano. Alle elezioni politiche del 2018 diventa senatore e il 6 giugno 2018 viene eletto presidente del gruppo parlamentare. Dal 2018 è referente della funzione Lex Iscritti sulla piattaforma Rousseau.

Innovazione tecnologica e transizione digitale: Vittorio Colao – Bresciano d’origine, ha lavorato per Morgan Stanley a Londra e poi negli uffici milanesi di McKinsey & Company. Dal 1996 direttore generale di Omnitel, nel 2004 prende la guida di Rcs MediaGroup: si dimetterà dopo essersi messo di traverso sulla fallimentare acquisizione della spagnola Recoletos. Nel 2006 torna in Vodafone e nel 2008 diventa amministratore delegato del gruppo che guida con successo per un decennio. Nell’aprile 2020 è designato dal governo Conte per guidare la task force sulla cosiddetta “Fase 2” per la ricostruzione economica del Paese.

Transizione ecologica: Roberto Cingolani – Nato a Milano e laureato in fisica a Bari, Roberto Cingolani ha 58 anni ed attualmente dirige la divisione Tecnologia ed Innovazione del gruppo Leonardo e fa parte del comitato di esperti creato dalla presidenza del Consiglio per l’emergenza Covid. Per 12 anni ha guidato l’Istituto italiano di tecnologia di Genova suscitando anche alcune polemica per i criteri di selezione dei ricercatori. Non rare le frequentazioni politiche, più volte ospite alla “Leopolda” è intervenuto anche a Sum, il convegno della fondazione Casaleggio e prima ancora a Vedrò di Enrico Letta. Autore di numerose pubblicazioni, nel 2020 ha scritto “Prevenire” sulle grandi sfidi ambientali ed economico sociali.

Cultura: Dario Franceschini – Resta alla Cultura, uno degli uomini forti del Partito democratico. Capodelegazione del governo giallorosso, punto di riferimento di tutte le trattative per tenere in piedi il governo Conte 2, Franceschini si conferma al dicastero per i Beni culturali. Un ruolo che ha già ricoperto due volte, sotto i governi Renzi e poi Gentiloni (dal 2014 al 2018). Prima, durante l’esecutivo Letta, era stato ministro per i Rapporti con il Parlamento. Ma non solo: è stato anche due volte sottosegretario per i governi D’Alema II e Amato II. Franceschini viene dalla Margherita ed è stato anche vicesegretario dem di Walter Veltroni, poi segretario dopo le sue dimissioni nel 2009. Un anno dopo ha perso le primarie contro Pierluigi Bersani, ma la sua corrente (Areadem) è sempre stata l’ago della bilancia sia nel sostegno a Bersani sia poi in quello a Renzi. Franceschini è stato tra i primi a promuovere il dialogo con i 5 stelle (le prime aperture risalgono già dal 2018). Nato a Ferrara, è figlio del partigiano cattolico Giorgio Franceschini che fu poi eletto in Parlamento con la Dc.

Rapporti con il Parlamento: Federico D’Incà – L’altra pedina 5 stelle che rimane è Federico D’Incà. Classe 1976, nato a Belluno. Parlamentare M5s al secondo mandato, è stato questore a Montecitorio durante il governo gialloverde e poi ministro per i Rapporti con il Parlamento nel governo Conte 2. Nella scorsa legislatura è stato capogruppo a Montecitorio e presidente del gruppo. D’Incà è sempre stato considerato molto vicino al presidente della Camera Roberto Fico, nonché anima dialogante del Movimento. Prima dell’investitura con i giallorossi, era tenuto tra le seconde linee, anche se da sempre è considerato un punto di riferimento nel M5s. D’Incà è stato riconfermato ai Rapporti con il Parlamento.

Lavoro e Politiche sociali: Andrea Orlando – Vicesegretario del Partito democratico, è stato ministro dell’Ambiente nel governo di Enrico Letta e guardasigilli in quello di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Candidato alla segreteria del Pd nel 2017, sconfitto proprio da Renzi, con l’elezione di Nicola Zingaretti è diventato il numero due del Nazareno. Tra i primi sostenitori dell’alleanza del Pd con il M5s, non è entrato a far parte del governo di Giuseppe Conte.

Istruzione: Patrizio Bianchi – 68 anni, di Ferrara. E’ stato rettore dell’università di Ferrara fino al 2010 e assessore regionale alla scuola in Emilia-Romagna prima con Vasco Errani e poi Stefano Bonaccini. Conosciuto durante la pandemia per aver coordinato lo scorso anno la task force ministeriale, formata dall’ex Ministra Lucia Azzolina per la gestione della ripartenza scolastica. Nel saggio edito da il Mulino ‘Nello specchio della scuola’, pubblicato a ottobre, sostiene che sia “ormai indifferibile avviare una vera fase costituente per la scuola”, “una nuova stagione in cui essa torni a essere, o meglio divenga, il motore di una crescita di un paese che da troppo tempo è bloccato”. E’ direttore scientifico dell’Ifab – Fondazione Internazionale Big Data e Intelligenza Artificiale per lo Sviluppo Umano.

Università: Cristina Messa – Nata a Monza, classe 1961. Specializzata in medicina nucleare, è professoressa ordinaria di Diagnostica per immagini e radioterapia all’università Milano Bicocca, di cui è stata rettrice dal 2013 al 2019. La sua è una carriera da manager della ricerca, visto che è stata anche vicepresidente del Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr), ed è delegata del ministero dell’Istruzione, l’Università e la Ricerca nel programma Horizon 2020 ed è membro del Comitato Coordinatore di Human Technopole (2016-in corso). E’ autrice di oltre 180 pubblicazioni scientifiche

Turismo: Massimo Garavaglia (Lega) – Il Carroccio, a un anno e mezzo dalla fine del governo Conte 1, torna a occupare il dicastero del Turismo che con i giallorossi era stato nuovamente accorpato ai Beni culturali. Si tratta di un ministero che, grazie ai fondi del Recovery, tornerà ad avere forte centralità. Il ruolo però non va all’ex ministro Centinaio, bensì a Massimo Garavaglia. Milanese, 52 anni, è stato sottosegretario e vice-ministro nel governo gialloverde. Ha iniziato la sua carriera politica a Marcallo con Casone, dove è stato sindaco per 10 anni. E’ stato assessore al Bilancio in Regione Lombardia nella giunta Maroni, incarico che ha lasciato in seguito all’elezione in Senato. Nel 2019 è stato assolto dall’accusa di turbativa d’asta nel processo su una gara per il servizio di trasporto di persone dializzate del 2014, quando era assessore.

MINISTERI SENZA PORTAFOGLIO

Pari opportunità e Famiglia: Elena BonettiItalia viva tiene una sola pedina dentro l’esecutivo ed è la ministra per le Pari opportunità (quella che Matteo Renzi per settimane ha detto “sarebbe tornata a insegnare” perché non le importavano le poltrone. Nata a Mantova, ha 43 anni. Ha una laurea e un dottorato in matematica ed è professoressa associata di analisi matematica presso l’Università di Milano. È membra della direzione nazionale Pd. Bonetti era arrivata al governo, succedendo ai leghisti Lorenzo Fontana e Alessandra Locatelli. La famiglia era uno dei settori dove la propaganda leghista più stata forte, tanto che il World Congress of Families, organizzato da associazioni pro life e antiabortiste, era stato celebrato in Italia. Di formazione Scout, come ama ripetere ciclicamente, nel 2014 ha firmato un appello, insieme a don Gallo, per chiedere il riconoscimento delle unioni gay al Parlamento e alla Chiesa di rivedere le proprie posizioni “perché tutti abbiamo il diritto di amare e di essere amati”.

Sud e coesione: Mara CarfagnaForza Italia si prende il ministero per il Sud, là dove è stato per un anno e mezzo il dem Beppe Provenzano e prima di lui la 5 stelle Barbara Lezzi. La poltrona va alla Carfagna, una delle azzurre che nelle scorse settimane era stata descritta addirittura come una delle papabili per entrare nel gruppo dei “responsabili” (ipotesi sempre smentita). Salernitana, 45 anni, torna ministra dopo i tre anni e mezzo alla guida delle Pari Opportunità nel governo Berlusconi, dove venne paracaduta senza esperienza diventando una delle figure più contestate dell’epoca berlusconiana. In Parlamento dal 2006, durante questa legislatura è stata finora vice-presidente della Camera dei Deputati. E’ stata tra le principali promotrici dell’introduzione del reato di stalking.

Autonomie: Maria Stella GelminiAltro ritorno per i berlusconiani è quello della Gelmini. Classe ’73, avvocata lombarda, è capogruppo di Forza Italia alla Camera. E’ già stata ministra nel Berlusconi III dal 2008 al 2011 al dicastero dell’Istituzione, dove impostò una criticatissima riforma della scuola che tra le altre cose reintrodusse il voto in condotta come concorrente alla media degli alunni. Il 23 settembre 2011 incappò in una storica gaffe su un fantomatico tunnel che collegava il Gran Sasso al Cern di Ginevra.

Pubblica amministrazione: Renato Brunetta (Forza Italia) Il terzo dei forzisti che entrano al governo è Renato Brunetta. Veneziano, 70 anni, l’economista torna a guidare il ministero della Pubblica amministrazione dopo il triennio 2008-10. Deputato dal 2008, da ministro venne criticato per le sue esternazioni sui “fannulloni” dipendenti statali. Un anno più tardi entrò in polemica con Mara Carfagna perché disse che il lavoro pubblico era stato lungamente considerato “un ammortizzatore sociale, soprattutto da parte delle donne”. In quegli anni ha più volte attirato le critiche dei sindacati, compresi i rappresentanti della polizia per una frase sugli agenti “panzoni”. Tra i suoi sogni, disse lui stesso scatenando molte ironie, c’era quello di vincere il Premio Nobel: “Ero anche bravo, ero… non dico lì lì per farlo, però ero nella giusta… ha prevalso il mio amore per la politica”. Ora sul tavolo Brunetta si troverà il delicato dossier della regolamentazione dello smart working e del lavoro agile a cui la pandemia ha obbligato i dipendenti pubblici.

Politiche giovanili: Fabiana Dadone (M5s) La quarta ministra 5 stelle che resta nel governo è Fabiana Dadone, che però deve anche lei traslocare: lascia la Pubblica amministrazione a Brunetta e finisce alle Politiche giovanili. Nata a Cuneo, ha 35 anni. È deputata del Movimento 5 stelle al secondo mandato. Nella scorse legislatura è stata membro della commissione Antimafia. Dal 2018 è stata investita di alcune cariche di responsabilità dentro il Movimento: è diventata referente di Rousseau per la funzione Scudo della Rete e nel 2019 è stata nominata membro dei probiviri, ovvero il collegio che deve decidere le misure disciplinari per gli iscritti del Movimento 5 stelle. E’ stata tra le firmatarie del ricorso sull’Italicum. Classe 1984, Dadone è approdata per la prima volta al ministero nel 2019 a soli 35 anni, allora seconda solo a Luigi Di Maio nella graduatoria dei ministri più giovani. Come ministra della Pubblica amministrazione è stata lei ad occuparsi nel corso dell’emergenza Covid del passaggio obbligato dei dipendenti pubblici allo smart working, necessario per non far cessare l’erogazione dei servizi pubblici. L’adozione della modalità di lavoro agile nelle amministrazioni ha raggiunto in questi mesi percentuali altissime (dal 70% al 90%). Il passaggio d’ora in poi dovrà essere regolato anche nella fase post-pandemia. In seguito alla fase di emergenza, Dadone ha infatti aperto una nuova fase del lavoro agile nel settore pubblico con l’introduzione, nel decreto rilancio, del POLA (Piano organizzativo del lavoro agile), che dovrà essere adottato da ogni amministrazione pubblica entro il 31 dicembre di ciascun anno.

Disabilità: Erika Stefani (Lega) – Torna al governo la leghista Stefani dopo che, durante il governo gialloverde, aveva ricoperto il ruolo di ministra agli Affari regionali. Vicentina di Valdagno, è entrata per la prima volta in Parlamento nel 2013, eletta al Senato, dov’è stata rieletta il 4 marzo attraverso il collegio uninominale. E’ avvocata: nella scorsa legislatura ha fatto parte della commissione Giustizia e della Giunta per le immunità nelle quali ha sempre tenuto la linea tradizionale del centrodestra. Tra i vari casi, quello della decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, contro la quale la Stefani si espresse a nome della Lega: “Forse alla fine sono più i dubbi e le perplessità che non le certezze. I dubbi e le perplessità sono sulla costituzionalità della Legge Severino” disse tra l’altro. Stesso atteggiamento tenuto contro la decadenza di Augusto Minzolini. Il Carroccio con la nomina di Stefani occupa il ministero della Disabilità che, a detto di Matteo Salvini, era una

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