La letalità del Covid in Italia nella seconda fase dell’epidemia, in particolare nel mese di ottobre, è del 2,4%, più bassa rispetto a quella della prima fase durante la quale però l’accessibilità rallentata ai tamponi e la diversa distribuzione geografica dei casi potrebbero aver fornito un dato distorto. Il calcolo è contenuto in un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità appena pubblicato. Secondo il report tra i casi confermati diagnosticati fino a ottobre, la percentuale di decessi standardizzata per sesso ed età (il cosiddetto Case Fatality Rate, Cfr) è stata complessivamente del 4,3%, con appunto ampie variazioni nelle diverse fasi dell’epidemia: 6,6% durante la prima fase (febbraio-maggio), 1,5% nella seconda fase (giugno-settembre) e 2,4% tra i casi diagnosticati nel mese di ottobre. L’Iss evidenzia anche che al momento l’unico confronto possibile a livello internazionale è basato sull’eccesso di mortalità registrato durante l’epidemia rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti. Le stime fornite da Eurostat riguardo la variazione percentuale dei decessi registrati nel periodo febbraio-ottobre 2020 rispetto a quelli registrati nello stesso periodo dei quattro anni precedenti mostrano come l’Italia, rispetto alla stima complessiva riferita ai 27 paesi membri dell’UE, abbia avuto, a eccezione della prima ondata epidemica, un eccesso di mortalità inferiore alla media dell’Unione europea. Nel mese di ottobre è al 13,1% contro il 17,1%.
Lo studio è stato condotto utilizzando il database dei casi Covid confermati con test molecolare e notificati al sistema di sorveglianza da inizio epidemia (20 febbraio 2020) al 31 Ottobre 2020. Il tasso di letalità, ovvero il rapporto tra i decessi e il numero di persone contagiate, può essere distorto da differenze nell’accessibilità ai test diagnostici. Per questo l’Iss utilizza il Cfr standardizzato, che si basa solo sui casi confermati e tiene conto anche delle differenze demografiche. Il Cfr standardizzato presenta una variabilità a livello regionale, con i più alti valori osservati in Lombardia (5,7%) ed Emilia-Romagna (5%), mentre i livelli più bassi sono stati osservati in Umbria (2,3%) e Molise (2,4%).
Le differenze regionali – “Nell’interpretare le differenze regionali di Cfr è importante tenere in considerazione la tempistica con cui l’epidemia si è manifestata nei diversi ambiti territoriali”, spiega l’Iss. “L’epidemia ha colpito prevalentemente l’area settentrionale del Paese durante la prima ondata (febbraio-maggio), per poi estendersi più diffusamente sull’intero territorio nazionale nelle fasi successive – si legge nel documento – Questa disparità nella distribuzione dei casi nel tempo potrebbe spiegare parte delle differenze del Cfr regionale riferite all’intero periodo esaminato”. Alcune delle differenze regionali che emergono dall’analisi condotta sull’intero periodo (febbraio-ottobre) appaiano infatti meno pronunciate e talvolta invertite quando i Cfr regionali sono confrontati separatamente per ciascuna fase epidemica. Ad esempio, il Cfr standardizzato osservato in Lombardia sull’intero periodo è risultato quasi il doppio di quello osservato in Campania (5,71% vs. 3,05%). D’altro canto, l’analisi per periodo di calendario mostra invece come il Cfr standardizzato in Lombardia non differisca sostanzialmente da quello osservato in Campania in ciascuna delle tre fasi epidemiche (7,95% vs. 7,31% durante la prima ondata dell’epidemia, 0,90% vs. 1,63% durante i mesi estivi, 2,75% vs. 2,53% durante la seconda ondata dell’epidemia).
Prima e seconda ondata – Durante il periodo tra il 20 febbraio e il 13 gennaio 2021 sono stati notificati al sistema di sorveglianza un totale di 77.753 decessi (98,9%) con informazione disponibile sulla data del decesso e quella di diagnosi. Circa la metà di questi sono avvenuti durante la prima ondata (febbraio-maggio: 45,1%), mentre la quota di decessi registrati durante i mesi estivi appare molto ridotta (1,51%) per poi risalire durante la seconda ondata: da ottobre ad oggi sono avvenuti il 53,4% dei decessi. Il rapporto sottolinea però che malgrado l’elevata incidenza di casi osservata nel mese di ottobre, i tassi di mortalità e il Cfr non hanno raggiunto i picchi registrati nel periodo febbraio-aprile. Il Cfr della prima ondata era dell’8,9%, a ottobre del 2,43%. “Questo relativo contenimento della mortalità e del CFR durante la seconda ondata epidemica è verosimilmente dovuto alla combinazione di diversi fattori“, spiega l’Iss. In primis un aumento della disponibilità di servizi ospedalieri dedicati, poi le “migliorate conoscenze in merito a possibili trattamenti terapeutici”, infine la “aumentata capacità diagnostica con conseguente tracciamento di casi asintomatici e paucisintomatici a ridotto rischio di decesso”.
Il confronto con l’Europa – I dati disaggregati per sesso, classe di età e fase epidemica, così come analizzati nel rapporto dell’Iss, “non sono disponibili per altri paesi Europei e pertanto non è metodologicamente corretto eseguire un confronto del Cfr per paese”, si legge nel documento. “L’unico confronto possibile a livello internazionale è basato sull’eccesso di mortalità registrato durante l’epidemia rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti”, spiega quindi il documento. Secondo i dati Eurostat, a marzo l’Italia ha avuto il secondo più alto eccesso di mortalità (49,2% di morti in più rispetto al periodo 2016-19), dietro alla Spagna (52,9%). Anche ad aprile la variazione è stata molto elevata (+41,25), contro una media europea del 24,9%. “Le differenze con l’insieme degli altri Paesi europei osservate durante la prima ondata sono verosimilmente dovute al fatto che in Italia l’epidemia è risultata in generale anticipata nel tempo rispetto al resto dell’Europa”, spiega però l’Iss. A maggio la differenza diventa minima e da giugno in poi l’eccesso di mortalità italiano risulta sempre più basso rispetto alla media Ue. Anche in ottobre, quando riparte la seconda ondata, l’Italia registra un +13,1%, mentre l’Ue in media è al 17,1%, con il picco in Polonia (+45,1%).