Il fronte vaccini della estenuante guerra alla pandemia, tra ritardi, intoppi e anche rinunce, sta diventando sempre più una trincea. Per questo le soluzioni possono essere anche estreme: ipotizzare di produrre il vaccino russo come ha fatto la Germania previa autorizzazione dell’Ema o tentare di produrre in patria il vaccino Pfizer-Biontech come ha pensato in via preliminare la Francia con gli stabilimenti Sanofi. Ma esistono anche altre possibili strade. “Purtroppo ci sono ritardi e bisogna cercare di tenerne conto, rinforzando da un lato tutto quello che si può in termini di misure di sicurezza, dall’altro tentando ogni via per velocizzare la disponibilità di nuove dosi e nuovi prodotti scudo. Per esempio, potremmo anche fare in modo di accelerare la fase 3 del vaccino italiano”, quello di ReiThera, “chiamando in causa chi può collaborare allo sviluppo della ricerca. Dobbiamo usare tutti i mezzi possibili” dice il farmacologo Silvio Garattini, presidente dell’Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano all’Adnkronos. Una via è quella dei contratti: “Bisognerebbe mettere in campo un gruppo di esperti che guardino, avendone la competenza, agli oltre 60 candidati vaccini nelle fasi più avanzate di sviluppo e sorvegliare quali sono vicini al traguardo, quali saranno pronti per primi, prenotando per tempo un numero adeguato di dosi”.

Quindi il primo pensiero dello scienziato è che sarebbe utile dedicare una task force a questa missione. E poi c’è il capitolo che riguarda il lavoro dei laboratori: “Va stimolata anche la velocità con cui si può fare ricerca – riflette Garattini – Potremmo fare in modo di accelerare anche appunto anche sul vaccino italiano”. Il tutto con un unico obiettivo: “Accelerare la disponibilità dei vaccini”, condizione cruciale per il raggiungimento in tempi congrui della meta dell’immunità di gregge, “con tutti i mezzi possibili, incluso se necessario le licenze obbligatorie, l’abolizione del brevetto e la scelta di produrre direttamente” i vaccini. Un concetto che lo studioso ha proposto anche in una intervista a Il Mattino. “Se può aiutare, è una strada che va percorsa. Ma non sono io a valutare”, puntualizza Garattini. “Come anche l’opzione – aggiunge – delle alleanze fra aziende per incrementare la produzione non andrebbe tralasciata“, ipotesi al vaglio per esempio in Francia. “Potrebbe essere una via importante per avere risultati migliori. All’orizzonte ci sono infine altri elementi che potrebbero aiutare: “Per esempio c’è anche il vaccino di Jansen (Johnson&Johnson) in dirittura d’arrivo, che viene somministrato in una sola dose. Questo rappresenterebbe una semplificazione importante per le attività di immunizzazione. Però bisogna darsi da fare”.

“Se ci sono ragioni importanti di salute pubblica, gli Stati possono chiedere o pretendere la licenza del farmaco per produrlo in grosse quantità. L’Italia, l’Europa, possono chiederlo. In un momento di grandi difficoltà bisognerebbe avere il coraggio di abolire i brevetti sui farmaci salvavita come i vaccini. E se non facciamo le cose alla svelta, rischiamo che qualche variante non sia più suscettibile al vaccino” di al quotidiano di Napoli. Per Garattini “i ritardi della produzione dei vaccini sono solo i primi di altri possibili intoppi. Bisogna cercare altre soluzioni, fare altri accordi, moltiplicare anche da noi le sperimentazioni già in atto per accelerare le approvazioni dei vaccini migliori. Produrre vaccini è complicatissimo e ragionare come fossero banchi a rotelle è sbagliato. Non si può ragionare con la logica di Amazon: clic, ordino e mi arriva il vaccino”. Per giunta, afferma, anche se le aziende rispettassero le consegne, “non potremmo arrivare all’immunità di gregge entro la fine dell’anno perché avremmo dosi per 38 milioni di italiani e non quante ne servono, ossia 120 milioni”.

La prova ulteriore di quanto sia complicato produrre e sviluppare un vaccino arriva anche con la notizia che l’Istituto Pasteur, il più importante organismo di ricerca francese, ha annunciato oggi di aver deciso lo stop allo sviluppo del suo principale progetto di vaccino contro il Covid-19, in partnership con il gruppo Merck (MSD), poiché i primi test hanno mostrato che è meno efficace di quanto si sperasse. Pasteur è il secondo centro di ricerca francese ad annunciare il flop dopo il laboratorio Sanofi, che a dicembre ha fatto sapere che il suo vaccino è in ritardo e sarà pronto soltanto a fine 2021, anche in quel caso per risultati meno buoni del previsto. Nel caso del vaccino Pasteur in collaborazione con l’americana Merck, “le risposte immunitarie indotte si sono rivelate inferiori a quelle osservate nelle persone guarite da un’infezione naturale e a quelle osservate con i vaccini già autorizzati” contro il Covid-19 ha spiegato l’istituto francese. Per la ricerca e la distribuzione, il Pasteur si era alleato con il gruppo farmaceutico MSD (nome del gruppo americano Merck al di fuori di Usa e Canada). MSD aveva acquistato l’anno scorso la società di biotecnologia austriaca Themis, con la quale il Pasteur lavora da diversi anni sulla preparazione di diversi vaccini. I test della fase 1, il primo stadio sull’essere umano, erano cominciati lo scorso agosto. Il Pasteur precisa che proseguirà il suo lavoro su altri progetti di vaccino contro il Covid, ma a uno stadio preliminare: “Il primo – ha fatto sapere oggi il laboratorio francese – è uno spray nasale, sviluppato con la società di biotecnologia TheraVectys”. Il secondo è un “candidato vaccino a Dna“, anch’esso in fase “preclinica”.

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