Si è diffusa in tutta Italia, ma non decolla la campagna #ioapro dei ristoratori ‘ribelli’ che hanno annunciato nei giorni scorsi l’apertura serale dei loro locali per protestare contro i divieti imposti dai decreti governativi per limitare la diffusione del coronavirus. Da Pesaro a Foggia, a Verona, fino a Milano e Napoli, le adesioni sono state sparse e poco più che simboliche, visto che l’iniziativa non è stata appoggiata dalle principali associazioni di categoria, come Confcommercio e Confesercenti, e dei ristoratori locali in diverse parti d’Italia. Un flop certificato anche dai dati dell’app finanziaria Revolut, secondo cui i pagamenti con carta di credito e bancomat fatti nei ristoranti la sera del 15 gennaio sono stati in linea con quelli di venerdì scorso. Niente “picchi significativi delle transazioni” nelle Regioni, si legge in una nota, “nonostante alcuni abbiano comunque deciso di protestare e aprire”.

A Verona, ad esempio, sono stati una decina i ristoranti che hanno aperto le porte alla clientela, mentre a Foggia tutto si è risolto in un flashmob nel pomeriggio di una cinquantina di titolari di bar, ristoranti e pizzerie. E anche nelle altre città sono poche decine gli esercenti che hanno aderito rischiando multe salate. Niente a che vedere con i numeri fatti circolare nei giorni scorsi dagli organizzatori che parlavano addirittura di 20-30mila adesioni in tutto il Paese. A Pesaro, fa sapere il sindaco Matteo Ricci, c’è stato solo il caso del ristorante di Mombaroccio gestito da uno dei promotori dell’iniziativa, poi chiuso dalle forze dell’ordine: “Zero adesioni, locale di Mombaroccio chiuso e un po’ di folclore“.

Al governo i ristoratori chiedono un cronoprogramma preciso per le riaperture, un intervento sulle locazioni dei locali, ristori da calcolare su base annuale, interventi che riaccompagnino per un periodo la ripresa con un alleggerimento del costo del lavoro sotto il profilo contributivo. Un “piano preciso” con “proposte concrete e di immediata applicabilità normativa” per risollevare uno dei settori più colpiti dalla crisi scatenata dalla pandemia e decisamente rilevante per la nostra economia. Secondo i dati di Fipe, la ristorazione dà lavoro ogni anno a 1,3 milioni di persone, genera un valore aggiunto pari a 46 miliardi di euro e con 21 miliardi all’anno rappresenta la seconda componente di spesa per i turisti stranieri in Italia.

Ma non è questo il modo per protestare contro la crisi che ha travolto il settore, dicono le associazioni di categoria: “Non rispettare la legge è la cosa più semplice ma che porta meno risultati, va bene per chi vuole strumentalizzare la disperazione della categoria, disperazione che capiamo benissimo e condividiamo”, dice Roberto Calugi, direttore generale di Fipe Confcommercio. “Sicuramente comprendiamo il disagio della categoria perché siamo tutti operatori, ma le cose si cambiano rispettando la legge. Non è infrangendola che si ottengono risultati”, afferma il presidente di Fiepet Confesercenti, Giancarlo Banchieri, che pure sottolinea come con il solo asporto il fatturato si riduca del 90%. “Lunedì vedremo il ministro Patuanelli e chiederemo tre cose – ha aggiunto – Un cronoprogramma preciso per le riaperture, ristori consistenti e veloci e una riduzione dei costi strutturali, anche dopo almeno per un periodo, in particolare per abbassare un po’ il costo del lavoro, sotto il profilo contributivo”.

Decine le multe comminate dalle forze dell’ordine nei confronti dei proprietari che hanno violato le normative. Come a Genova, dove è stata disposta la chiusura di un wine bar di corso Torino dopo che una trentina di persone si sono accomodate all’interno. Gli agenti hanno identificato tutti i presenti e anche quelli che aspettavano per strada e li hanno sanzionati. Nell’elenco dei locali sanzionati c’è anche la Nuova Locanda al Sole di Vo’ Euganeo, il bar frequentato dalla prima vittima italiana del Covid, Adriano Trevisan. Proprio questo locale era stato indicato come uno dei possibili luoghi focolaio del virus in quello che era stato il primo cluster d’Italia. Era lì che Trevisan e l’amico Renato Turetta, anch’esso deceduto per Covid, si incontravano ogni sera per le loro partite a carte.

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