Giosuè Ruotolo è stato condannato all’ergastolo in via definitiva. La Cassazione ha confermato la pena massima per il 30enne campano, accusato di aver ucciso a Pordenone la coppia di fidanzati Teresa Costanza e Trifone Ragone il 17 marzo 2015. Lo stesso verdetto era stato stabilito in secondo grado della Corte di Assise di Appello di Trieste del primo marzo 2019, che a sua volta convalidava quanto deciso nel 2015 dalla Corte di Assise di Udine, la prima ad infliggere il carcere a vita all’imputato.

Anche secondo la Cassazione, quindi, a sparare diversi colpi di pistola contro i fidanzati nel parcheggio del palazzetto dello sport della città friulana, fu Ruotolo, commilitone di Ragone. Nel 2015, le due vittime erano state trovate in auto, dopo l’allenamento. L’arma del delitto, una vecchia Beretta del 1922, fu ritrovata dagli investigatori nel laghetto del parco San Valentino. Trifone Ragone, militare, originario di Adelfia (Bari), 28 anni, e Teresa Costanza, 30 anni, assicuratrice milanese di origini siciliane, laureata alla Bocconi, furono uccisi da Ruotolo, originario di Somma Vesuviana (Napoli) – ventottenne quando commise il doppio crimine – che sparò sette colpi di pistola da molto vicino colpendo prima Trifone mentre saliva in macchina lato passeggero e poi la sua compagna.

In primo grado il pm Pier Umberto Vallerin aveva sottolineato che Ruotolo, unico imputato, aveva “commesso gli omicidi per salvare la sua carriera” e che “l’odio verso Trifone e la gelosia verso Teresa lo avevano assalito già da tempo. Togliendoli di mezzo sparivano due rivali, due minacce viventi, due persone verso cui covava odio già da tempo”. Ad avviso di quanto stabilito in appello, non si trattò di un delitto “di ‘impulso'” ma venne “‘premeditato’, accuratamente studiato nei dettagli” probabilmente dettato da una “rabbia di Ruotolo verso Ragone” che si “trasmutava in odio e in vera e propria sete di vendetta”. Secondo i giudici di merito, Ruotolo si è dotato di un “alibi falso” e “si è reso responsabile di tutta una serie di ‘bugie’ e di ‘reticenze’ che rappresentano, complessivamente considerate, un ulteriore, certo, grave indizio a suo carico”.

Nell’ambito di questa vicenda, con giudizio separato, è stata condannata su patteggiamento a 10 mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, per false informazioni ai pm e favoreggiamento nei confronti di Ruotolo, anche Maria Rosaria Patrone, 28 anni, ex fidanzata e compaesana dell’imputato. La ragazza nel corso dell’inchiesta aveva sollecitato alcune amiche affinché tacessero a proposito del falso profilo creato su Facebook dal compagno per mettere in crisi il rapporto tra Trifone e Teresa. Profilo che gli inquirenti hanno ipotizzato come il “fulcro del movente” del delitto. Le ipotesi di favoreggiamento erano legate anche alla cancellazione di alcuni messaggi scambiati con Ruotolo. L’accusa di false informazioni risale a quando la Patrone – oggi avvocatessa – fu sentita dai carabinieri di Pordenone e affermò che tra Trifone e Giosuè non c’era mai stato alcun attrito.

L’imputato si è sempre dichiarato innocente ed estraneo ai fatti, ma per i giudici di merito le cose non stavano così. “La decisione della Cassazione non ci stupisce: da subito è apparso chiaro che il ricorso era incentrato sul merito e non su motivi di legittimità, e anche il procuratore generale ha chiesto che non fosse accolto”, ha commentato a caldo il pool di avvocati di parte civile che assiste i parenti delle vittime. In particolare, gli ‘ermellini’ hanno dichiarato inammissibile il ricorso della difesa di Ruotolo – con il professor Franco Coppi che ha tentato il tutto per tutto per annullare la condanna – contro la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Trieste.

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