Non ci vuole la palla di vetro per intuire che la pubblicazione della proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi) ad accogliere Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico rischia di innescare un conflitto non solo ambientale, ma sociale. Non si sono fatte attendere, infatti, le prime reazioni da parte di Sardegna, Puglia e Basilicata e di alcuni Comuni pugliesi e siciliani, tutti territori che rientrano tra quelli non solo idonei, ma tra i 23 maggiormente adatti per accogliere l’infrastruttura. Ma a lasciare interdetti sono le dichiarazioni del ministro della Salute Roberto Speranza – che è di Potenza -, secondo cui le aree della Basilicata indicate come possibili sedi di un deposito di scorie radioattive sono “a bassa idoneità e quindi da escludersi in vista della valutazione definitiva”. Secondo il Ministro, “la ragione principale è che le aree della Basilicata sono in zona sismica 2. Va altresì valutato che la grande parte dei rifiuti nucleari è già collocata in aree del Paese distanti dalla Basilicata“, ha concluso.

Intanto, mentre Coldiretti invita alla tutela delle zone agricole del nostro Paese, sono scattati anche gli appelli alla massima trasparenza e partecipazione nell’iter procedurale che dovrebbe portare alla pubblicazione della versione definitiva della Cnapi. Da quello della deputata LeU Rossella Muroni a quello di Legambiente. E poi c’è Greenpeace che non condivide (e lo ribadisce) la strategia scelta dall’Italia, basata sull’unica ipotesi di dotarsi di un solo Deposito Nazionale che sarà costituito dalle strutture per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività e da quelle per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi a media e alta attività, che dovranno essere successivamente trasferiti in un deposito geologico idoneo alla loro sistemazione definitiva.

LE REAZIONI DEI TERRITORI – Tante le critiche che arrivano dalle regioni, a partire da Sardegna, Puglia e Basilicata. “Indicare 14 siti in Sardegna sui 67 individuati complessivamente in Italia per la realizzazione del deposito unico dei rifiuti nucleari rappresenta l’ennesimo atto di arroganza e prevaricazione di uno Stato e di un Governo che non hanno alcun rispetto per l’isola e per la volontà chiaramente espressa dal Popolo Sardo, in maniera definitiva ed irrevocabile, con un referendum ed una legge regionale”, ha commentato il governatore Christian Solinas che annuncia: “Metteremo in campo ogni forma democratica di mobilitazione istituzionale e popolare per contrastare questa decisione e preservare la nostra Terra da questo ennesimo oltraggio”. A Solinas si sono uniti anche i sindaci rappresentati dall’Anci, che bocciano la il piano della Sogin nel merito e nel metodo e chiedono “una mobilitazione generale di tutta la Sardegna per un’azione congiunta del Consiglio Regionale, della Giunta, dei parlamentari sardi, dei comuni della Sardegna, delle organizzazioni sindacali e datoriali, delle associazioni e dei comitati civici, della cittadinanza attiva”. Insorge anche il governatore della Puglia Michele Emiliano: “Apprendiamo a ‘cose fatte’ e a distanza di anni dell’inclusione di alcuni comuni pugliesi e lucani tra i siti in cui stoccare residui radioattivi. È ferma e netta la contrarietà della Regione Puglia a questa opzione”, ha dichiarato Emiliano, precisando che “svolgeremo tutti gli approfondimenti tecnici del caso, geologici e ambientali, per motivare anche sotto questo aspetto l’incompatibilità di questa scelta irragionevole che contrasteremo in ogni sede”.

La Regione Basilicata ha già annunciato che “si opporrà con tutte le sue forze ad ogni ipotesi di ubicazione nel proprio territorio del deposito nazionale di rifiuti radioattivi” ha detto presidente Vito Bardi, in una nota firmata anche dall’assessore all’Ambiente, Gianni Rosa. Nella consultazione pubblica prevista dopo la pubblicazione della Cnapi, la Regione presenterà “una serie di osservazioni negative che in queste ore sono in corso di elaborazione”. In Basilicata sono state individuate cinque aree potenzialmente idonee in provincia di Matera (solo tra le prime 23 delle 67 totali), a cui si aggiungono diverse aree (soprattutto nella provincia di Potenza), che fanno però parte dell’ultima categoria. Sei di queste ricadono nel comune di Genzano di Lucania (Potenza). È rimasto “di stucco”, consultando la lista il sindaco di Petralia Sottana (Palermo) Leonardo Neglia: “Noi siamo anche sede dell’ente parco delle Madonie, da un lato si vuole la protezione della zona dall’altro si vogliono seppellire scorie nucleari”. Il suo territorio è una delle quattro aree in Sicilia potenzialmente idonee. Contrariati anche i primi cittadini del comuni pugliesi di Gravina in Puglia e Altamura, nel Barese, Alesio Valente e Rosa Melodia. I due comuni sono, con Laterza in provincia di Taranto, i tre i siti individuati in Puglia. “Non c’è spazio per trattative o valutazioni. Lo dico subito: la nostra risposta sarà un no secco e fermo” scrive Valente, definendo la notizia “una doccia gelata: le istituzioni locali sin qui non erano mai state interpellate”.

“Non ci lasceremo trascinare con rassegnazione in questa situazione” dice la sindaca Melodia, ricordando che “già il 14 gennaio 2016 i consigli comunali congiunti di Altamura, Poggiorsini, Spinazzola, Irsina, Santeramo in colle, Gravina in Puglia e Matera adottarono con delibera un ordine del giorno in cui si chiedeva alla Regione Puglia e alla Regione Basilicata, al presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico di dichiarare le aree del territorio regionali e dei comuni interessati non disponibili alla localizzazione del deposito nazionale destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi e del Parco tecnologico”. Filippo Balbo, sindaco di Butera (Caltanissetta) annuncia un referendum popolare. “Farò fare – aggiunge – anche una relazione da tecnici specializzati per capire qual è il sito, che allo stato non conosco, e quali sarebbero gli eventuali rischi e ci comporteremo di conseguenza”.

L’INVITO DELLA COLDIRETTI – Balbo, così come i colleghi pugliesi, sottolineano che i loro territori sono votati all’agricoltura e anche al turismo. “Abbiamo 8,5 chilometri di costa e non possiamo permetterci di avere un sito di questo tipo con materiale radioattivo” spiega Balbo. E si tratta di ragione che molti comuni sono pronti a mettere sul tavolo. Non è un caso se sulla questione è intervenuta anche la Coldiretti. “La scelta deve tutelare la vocazione dei territori in un Paese come l’Italia che può contare sull’agricoltura più green d’Europa” ha detto il presidente Ettore Prandini, sottolineando “l’importanza di un processo trasparente” e la necessità che le garanzie di sicurezza siano “accompagnate da una forte attenzione al consumo di suolo, evitando nuovi insediamenti con il riutilizzo e la bonifica di aree industriali dismesse”. Negli ultimi 25 anni si è perso in Italia oltre un quarto (-28%) della superficie agricola utilizzabile in Italia, ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari.

L’APPELLO ALLA TRASPARENZA E I DUBBI SULLA GESTIONE COMBINATA – Insomma, non mancheranno di certo punti di scontro e di trattativa, ma è innegabile che, come sottolineato in queste ore dalla deputata di LeU Rossella Muroni, la pubblicazione della Cnapi “è un atto dovuto e atteso da tempo, ma anche un’assunzione di responsabilità da parte del governo”. Greenpeace sottolinea, invece, un altro aspetto. Per l’organizzazione ambientalista, oltre a essere l’unico caso al mondo di gestione combinata dei rifiuti, il progetto così disegnato ha implicazioni non secondarie: come la possibile decisione di “nuclearizzare” un nuovo sito vincolandolo a lungo termine alla presenza di rifiuti pericolosi. Secondo Greenpeace “sarebbe stato più logico verificare più scenari e varianti di realizzazione del Programma utilizzando i siti esistenti o parte di essi e applicare a queste opzioni una procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)” in modo da evidenziare i pro e i contro delle diverse soluzioni. “Premesso che il deposito riguarderà i rifiuti di bassa e media attività mentre per i rifiuti radioattivi ad alta attività sarà possibile individuare un deposito profondo comune in Europa, e che la Carta è stata già verificata dal punto di vista tecnico dall’Ispra, ora bisogna dare priorità alla fase della consultazione pubblica” commenta a riguardo Rossella Muroni, secondo cui “soprattutto in questo momento storico è più importante che mai gestire la partecipazione, assicurare trasparenza, coinvolgere i territori” se non si vuole innescare l’ennesimo conflitto sociale ed ambientale.

EVITARE GLI ERRORI DEL PASSATO – “E finalmente la Sogin – aggiunge – non avrà più scuse ma dovrà dare seguito al suo mandato completando il decommissioning delle vecchie centrali e realizzando il deposito per mettere in sicurezza i nostri rifiuti radioattivi, senza continuare a sperperare denaro pubblico”. Anche per Legambiente “ora è necessario che si attivi un vero percorso partecipato, che è mancato finora, per individuare l’area in cui realizzare un unico deposito nazionale, che ospiti esclusivamente le nostre scorie di bassa e media intensità, che continuiamo a produrre” mentre i rifiuti ad alta attività “lascito delle nostre centrali ormai spente grazie al referendum vinto nel 1987, devono essere collocate in un deposito europeo – ha commentato il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – deciso a livello dell’Unione, su cui è urgente trovare un accordo”. Il primo passo, dunque, è evitare gli errori del passato. “Tutti ricordiamo quello che successe nel 2003 – racconta Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – quando l’allora commissario della Sogin e il governo Berlusconi scelsero, con un colpo di mano e senza fare indagini puntuali, il sito di Scanzano Jonico in Basilicata che, dopo le sollevazioni popolari a cui partecipammo anche noi, fu ritirato. Si tratta di un’esperienza davvero terribile da non ripetere”.

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