Il peggio sembrava alle spalle, ma i nuovi lockdown in Italia e in Europa hanno riportato il silenzio nei cieli e la crisi negli aeroporti. Secondo i dati di Aci Europe quasi 200 scali rischiano di fallire nei prossimi mesi a causa del crollo della domanda di viaggi aerei dovuto alla pandemia mentre Moody’s prevede che anche nel 2021 “il traffico passeggeri rimarrà di circa il 55% al di sotto dei livelli del 2019”. I numeri dell’Italia fanno impressione: in ottobre il calo rispetto allo scorso anno è stato del 75%, circa 10 milioni di passeggeri in meno, e con le nuove misure si stimano perdite fino all’85% del fatturato. Un ridimensionamento che impatta soprattutto sui lavoratori dell’handling e di quei servizi strettamente legati ai volumi di traffico. Molti stagionali sono già stati tagliati fuori, ma anche gli assunti rischiano. “Ci vorranno almeno due anni per tornare ai livelli pre pandemia”, dice Luigi Liguori della Filt Cgil di Varese. A Malpensa ai 20mila lavoratori dello scalo se ne aggiungono altrettanti occupati nell’indotto: hotel, parcheggi, catering e pulizie. “Le aziende non potranno mantenere l’occupazione precedente. Senza un piano di investimenti serio al termine della cassa integrazione o rischiamo di assistere a licenziamenti di massa”.

Malpensa nel 2020 ha perso tre passeggeri su quattro. “In primavera, con Linate e Bergamo chiusi, c’erano 3mila passeggeri al giorno. Normalmente in quel periodo si viaggia intorno ai 70mila”, spiega Liguori. E c’è chi ha già iniziato a tagliare sul costo del lavoro. Airport Handling, il principale operatore di servizi per le compagnie aeree negli scali milanesi, ha perso da poco due appalti. “Una clausola sociale del contratto prevede l’assorbimento del personale alle stesse condizioni, ma il nuovo operatore non vuole garantire le tutele in termini di occupazione e reddito, anche se la compagnia non ha modificato l’offerta economica”. Dopo le proteste molti lavoratori sono stati assorbiti, ma con decurtazioni fino al 20% dello stipendio. Anche a Linate, riaperto in luglio, i lavoratori di Airport Handling hanno avuto una brutta sorpresa: “Alitalia ha deciso di svolgere in autonomia attività che normalmente richiedono il lavoro di circa 220 dipendenti, richiamando anche personale in trasferta da Roma”, racconta Giuseppe Ragusa dell’Usb, l’Unione sindacale di base. Molti dipendenti sono rimasti senza lavoro, altri vengono impiegati solo un giorno al mese. “Dopo settimane di richieste e incontri non c’è ancora una risposta per il personale di terra. Siamo servizio pubblico quando scioperiamo, poi ci scaricano quando arriva una crisi devastante come questa”.

I sindacati lamentano anche un’eccessiva attenzione nei confronti di Alitalia, che dopo aver ricevuto i 3 miliardi stanziati dal decreto Rilancio ha incassato anche la proroga della cassa integrazione fino a settembre 2021: “Tra aeroporti e indotto i lavoratori sono anche di più e hanno gli stessi diritti a essere protetti”, dice Marino Masucci, segretario generale della Fit-Cisl Lazio. A Fiumicino sono circa 6mila le persone coinvolte nelle attività dell’aeroporto e si arriva a 10mila con l’indotto. “L’attività generale è diminuita anche del 90 per cento, serve un piano straordinario di interventi che non può riguardare solo Alitalia”. Soffrono tantissimo anche gli scali legati alle compagnie low cost. A Orio al Serio Ryanair taglierà il 60% dei voli e secondo le stime il 2020 si chiuderà con gli stessi passeggeri del 2003, quando la compagnia irlandese era appena arrivata a Bergamo. “L’aeroporto è cresciuto in doppia cifra in questi anni e le aziende hanno interesse a conservare la loro posizione e i posti di lavoro – spiega Marco Sala della Filt-Cgil – ma la vera preoccupazione è sulla tenuta economica del sistema in generale”. Easyjet non avrà più una sede operativa a Napoli, dove era il vettore principale con circa l’80 per cento dei voli, e ha appena annunciato che taglierà di un quarto la propria flotta in Italia riducendo da 22 a 21 gli aerei basati a Malpensa, da 7 a 4 quelli all’aeroporto di Napoli e da 7 a 2 quelli presso lo scalo di Venezia. “Prima della pandemia a Capodichino non c’era spazio per far atterrare gli aerei, ora la pista è deserta”, racconta Alfonso Langella, segretario generale della Fit-Cisl di Napoli. E anche qui arrivano i primi segnali di quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi: “In Campania le società stanno riprogrammando le gare d’appalto a costi nettamente inferiori rispetto al passato. Sarà impossibile mantenere la forza lavoro, temiamo tagli anche del 30% del personale”.

E in tanti sono già rimasti senza reddito. I lavoratori assunti con contratti verticali ciclici, che garantiscono l’impiego per un periodo preciso dell’anno – nel caso del trasporto aereo quello che va da aprile a ottobre – non sono stati rinnovati per l’inverno e ora si trovano totalmente scoperti: “Nel contratto accettano volontariamente di lavorare solo per quelle settimane e quindi non hanno diritto né alla disoccupazione né agli ammortizzatori sociali fuori dal periodo”, racconta Paola Marchi dell’Usb di Firenze. Tra l’aeroporto del capoluogo toscano e quello di Pisa sono in 150 in questa condizione. Va anche peggio agli stagionali, impiegati soprattutto negli scali turistici, come quelli veneti. “L’aeroporto di Venezia è legato alle crociere, quello di Verona alla fortissima attrazione del lago di Garda”, racconta Federica Vedova, della Filt-Cgil di Venezia. “Molti stagionali non hanno ricevuto nemmeno i bonus del governo perché spesso i loro contratti non riportano questa specifica. Sono lavoratori invisibili che mandano avanti gli aeroporti da anni e che ora sono stati totalmente abbandonati”. Per far fronte a questo scenario i sindacati chiedono al governo un intervento immediato: “A Malpensa, come in tutta Italia, le piccole aziende stanno chiudendo e quelle più grandi non resisteranno a lungo senza aiuti”, conclude Liguori. “Chi non riesce a superare questa fase rischia di perdere enormi fette di mercato. Alla ripresa il contraccolpo potrebbe essere definitivo”.

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