“La sua passione era parlare della Guerra di Liberazione, lei che era stata una staffetta in quegli anni. Andava nelle scuole a raccontare ai giovani cosa era successo, per non dimenticare. Questo la faceva sentire viva”. Ibes Pioli, la partigiana nota con il nome di battaglia “Rina” che partecipò alla Resistenza nelle fila della Brigata Remo, è morta all’età di 94 anni a causa del Covid-19 a Modena nella casa di riposo che la ospitava. Nata il 18 febbraio 1926 a Cavezzo, nel modenese, visse i primi anni della sua vita a casa degli zii materni vicino a Ferrara. “La sua famiglia era molto povera”, racconta a ilfattoquotidiano.it il figlio Libero Camellini. Poi si spostarono in città quando lo zio aprì un negozio di biciclette proprio in centro. Dal 1943 però Ferrara cominciò ad essere bombardata – in due anni le vittime ufficiali furono 1070 – e in uno degli attacchi morì il fratellino più piccolo di Ibes di 10 anni mentre tornava da scuola. A quel punto, appena 17enne, la ragazza decise di trasferirsi dai genitori a Cavezzo e, quando poco dopo venne istituita la Repubblica di Salò, Ibes cominciò a collaborare con la Resistenza.

“Tutta la famiglia di mia madre era antifascista”, sottolinea Camellini. Il padre e il fratello maggiore di Ibes infatti furono perseguitati politici. “Lei al tempo però era troppo giovane e non poteva essere una combattente – aggiunge il figlio – Quindi mia madre girava in bicicletta come porta ordine e qualche volta trasportava armi”. Ibes operò infatti come staffetta di collegamento tra Modena e Mirandola nelle Brigate Walter Tabacchi, Remo e Ivan. Tutti la conoscevano con il nome di battaglia “Rina”, che le venne dato quando giunse a Modena spostata dal movimento del Comitato di liberazione nazionale “a fare il lavoro politico per le donne modenesi”, raccontò lei stessa in un video disponibile sul canale Youtube del Comune di Modena.

Nonostante la giovane età Ibes non pensò due volte a partecipare in prima persona alla lotta. “Sentivo in me qualcosa di diverso, come ragazza. Aspiravo ad avere le mie idee, i miei pensieri, volevo essere una donna diversa – sottolineò nell’intervista – Al tempo i fascisti dicevano che la donna era senza cervello, ma io ho dimostrato che sapevo dire ciò che pensavo e lo facevo anche bene”. Essere una staffetta non era semplice, i rischi erano gli stessi di chi affrontava direttamente il nemico. “Spesso si parla solo del ruolo che queste donne avevano nella parte armata della Resistenza – sottolinea a Ilfatto.it l’ex presidente dell’Anpi provinciale di Modena Aude Pacchioni che conobbe Ibes dopo la Liberazione – Ma c’era anche un carattere civile: se c’era un ferito le staffette servivano per trovare un medico, per trovare una casa dove nasconderlo e curarlo, per comunicare con i suoi familiari. E Ibes era anche questo, dopotutto si faceva quello che era necessario”.


Organizzatrice dei Gruppi di difesa della donna nella zona sud di Modena (Paganine, Vaciglio, Cantone di Mugnano fino a Casinalbo), “la Rina” fece parte del Comitato provinciale dei Gruppi, occupandosi di stampa e propaganda. Fu la principale animatrice della requisizione al salumificio Frigieri di Paganine dell’8 marzo 1945, la più importante e significativa manifestazione femminile di tutta l’Emilia-Romagna durante i mesi dell’occupazione. La ricorda con un post su Facebook anche il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli: “Ci lascia una donna che ha sempre lottato, assieme ad altre donne e al fianco degli uomini, per i valori della libertà e della Liberazione – commenta – Ibes ha continuato fino a che ha potuto il suo infaticabile impegno nel trasmettere soprattutto alle giovani generazioni l’esperienza della Resistenza e il suo patrimonio di ideali”.

La sua partecipazione e il suo impegno infatti non si conclusero con la guerra. Se subito dopo la Liberazione l’esigenza di avere una vita normale la portò, come molti altri, a lavorare come impiegata in una tipografia, dopo pochi anni Ibes non riuscì a mettere da parte il proprio attivismo e decise di impegnarsi in un’altra lotta: quella per non dimenticare. A partire soprattutto dagli anni Novanta, l’ex partigiana cominciò a girare le scuole medie e superiori per mettere di fronte ai giovani e alle nuove generazioni quella che era stata l’esperienza della guerra. “Ha continuato fino a due, tre anni fa, fino a quando la sua salute glielo ha permesso – sottolinea il figlio – Le piaceva tanto parlare con i ragazzini, la faceva sentire utile”.

Ibes Pioli, detta Rina, è stata una donna attiva, forte, tutta d’un pezzo, raccontano le persone che l’hanno conosciuta. Sensibile, intelligente e molto informata, aggiunge Pacchioni, “sempre coerente con le sue idee”. Trovò l’amore proprio tra le file dei militanti. “Anche mio padre Fernando era un partigiano, un comandante. Il suo nome di battaglia era Andrea, anche mia madre lo chiamava così. Si sono conosciuti dopo la Liberazione – spiega il figlio sottolineando però quanto la partecipazione fosse importante per loro – Mia madre mi raccontava sempre che il giorno dopo il loro matrimonio, il 24 aprile del 1946, lei e mio padre si alzarono presto per andare alla sfilata dei partigiani di Modena”.

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