di Jakub Stanislaw Golebiewski

Il nostro è un paese meraviglioso ma pieno di contraddizioni altisonanti e ben difformi da una giusta e condivisa etica e morale di genere. Ho atteso qualche giorno prima di scrivere sull’ennesimo caso di omicidio-suicidio avvenuto a Carignano (To) in cui un uomo, dopo aver rivolto la pistola contro la moglie, i due figli e il cane si è tolto la vita. Un colpo alla testa contro la donna, deceduta sul colpo, contro il figlio, morto mentre veniva trasportato in ospedale, e contro la figlioletta che si è spenta dopo alcuni giorni in terapia intensiva.

Contesto e modalità sono più che note, da una parte un folle assassino, dall’altra una moglie con i suoi figli vittime di questo padre-Medea che oramai rappresenta miseramente il declino dell’impero patriarcale, un impero in decadenza in cui le donne devono ancora accettare quello che gli uomini decidono per loro (…e per il loro bene…) sottomesse al volere del pater familias.

Questo bel contenitore in cui una donna deve essere obbligatoriamente felice, magari perché “fa la signora e non le manca nulla”, spesso si è rivelato una trappola, ha nascosto pericoli e insidie soprattutto per quelle donne fragili e sprovviste di autonomia morale, obbligate ad incarnare una serie di virtù tutte al femminile come l’obbedienza, il silenzio e la fedeltà, riuscendo a garantire totale apatia per il proprio destino.

Chi può mai arrivare a chiedere tutto ciò ad una donna? A farlo sono uomini che mai hanno e mai accetteranno l’autonomia femminile. Sono gli stessi che, spesso per debolezza, vogliono controllare ossessivamente la donna e sottometterla al proprio volere. Quanto più questa cerca di affermarsi come uguale in dignità, valore e diritti all’uomo, tanto più lui reagisce in modo violento.

Oggi sappiamo che la violenza contro le donne non è più solo l’unico modo in cui può esprimersi un pazzo, un mostro, un malato; un uomo che proviene necessariamente da un contesto sociale povero e incolto. L’uomo violento può essere di buona famiglia, avere un buon livello culturale e di istruzione. Poco importa il lavoro che svolge o la posizione sociale che occupa, comunque riesce a trasformare la vita della donna in un incubo e, quando questa cerca di rifarsi la vita, la cercano, la minacciano, la picchiano, talvolta la uccidono, facendo lo stesso anche ai suoi figli, per poi suicidarsi da vili.

Sia ben chiaro, la violenza non è frutto di raptus o ‘tempeste emotive’: si annida in una cultura patriarcale ancora oggi difficile da estirpare. Eppure la recente storia ci racconta che in nome della parità uomo-donna, le donne hanno già rotto questi schemi arcaici e da tempo si sono riappropriate del loro corpo sancendo a priori l’inviolabilità dello stesso e l’urgenza affinché ogni violenza agita su quel corpo fosse classificata reato contro la persona e non contro la morale. Non a caso uno degli slogan urlati a squarciagola negli anni 70 era “né puttane né madonne, finalmente solo donne!”, parole che apparentemente hanno spianato la strada ad una completa autodeterminazione, emancipazione e liberazione della donna.

In parte è così, ma di fatto è una maledetta bugia che gli uomini ipocriti del patriarcato continuano a raccontarsi per mascherare un totale disinteresse sulla reale parità di genere. Secondo un rapporto Onu sull’omicidio globale – “Global Study on Homicide 2019” – realizzato da Unodc – il 58% degli omicidi di donne riportati nel 2017 è stato commesso dal partner, da un ex partner o da un familiare. Nel mondo si verificano mediamente circa 140 femminicidi ogni giorno, uno ogni 10 minuti. In Italia in media avviene un femminicidio ogni 72 ore, secondo i dati forniti da Eures ad ottobre del 2018.

Ma perché noi uomini continuiamo ad uccidere le donne? Molti di questi delitti passionali non sono altro che il sintomo del declino patriarcale a favore di una lenta e difficile ma comunque inesorabile liberazione della donna. L’uomo fa uso della violenza come se fosse l’unico modo per sventare la minaccia di una perdita, per continuare a mantenere un controllo sulla donna, per ridurla a mero oggetto di possesso. La paura di perdere anche solo alcune bricioline di potere lo rende volgare, aggressivo, violento.

Questo grave agire nei confronti del genere femminile, in contrasto con ogni legge, è purtroppo ancora un fenomeno strutturale e non emergenziale, come dovrebbe invece essere, nonostante le centinaia di vittime e gli impegni continui del Legislatore. Non si vede alcuna luce in fondo al tunnel, anzi è sempre più lungo e costellato di perdite, un danno collaterale troppo caro che non ci possiamo più permettere di pagare; per questa ragione è necessario un repentino cambio di marcia, un passaggio obbligato dall’ordinario allo straordinario, adottando modalità emergenziali nella trattazione della violenza sulle donne, come avviene in caso di epidemia o cataclisma.

Solo così e solo attraverso l’adozione di misure serie e strutturate che si basano sull’individuazione e lo studio del fenomeno, sulla comprensione degli agenti che lo determinano e sull’applicazione di soluzioni decise ed immediate, possiamo educare la nostra società a un futuro migliore e consegnare i carnefici, se ancora vivi, nelle mani della giustizia.

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