Il salto criminale della mafia foggiana è raccolto nelle quasi 1200 pagine dell’inchiesta “grande carro” con la quale carabinieri del Ros di Bari e del comando per la Tutela Agroalimentare di Salerno hanno arrestato 48 persone accusate a vario titolo per associazione mafiosa, riciclaggio, estorsione, sequestro di persona, armi e truffe per il conseguimento di fondi pubblici e comunitari. Ed è proprio quest’ultimo punto, secondo i militari guidati dal colonnello Alessandro Mucci e coordinati dai pubblici ministeri Lidia Giorno e Carmela Bruna Manganelli della Direzione distrettuale antimafia di Bari, a disegnare la nuova forma imprenditoriale della “società foggiana” dedita ormai non solo alle tradizionali forme di violenza ed estorsione, ma anche all’accaparramento dei fiumi di denaro provenienti dai progetti europei. Un’operazione “a 360 gradi” l’ha definita il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho “che ha colpito la struttura criminale nella sua componente militare, ma anche in quella economico-imprenditoriale”. Per il magistrato è l’aspetto più significativo per provare che la Società foggiana “non si muove solo per la consumazione di reati tradizionalmente mafiosi, ma ha assunto il modello tipico delle organizzazioni mafiose attraverso la gestione di affari e quindi attraverso una articolazione imprenditoriale economico finanziaria”.

Un nuovo ramo nel quale la quarta mafia è entrata, secondo l’antimafia di Bari, grazie alla complicità di tre funzionari della Regione Puglia che in cambio di mazzette certificavano falsamente la regolarità degli avanzamenti progettuali garantendo al clan un costante flusso di denaro proveniente dai finanziamenti comunitari. Sono complessivamente 41 le persone finite in carcere e 7 quelle costrette ai domiciliari. L’indagine è partita dopo la cattura del latitante Francesco Russo e ha permesso di fare luce sulle dinamiche criminali della “Batteria Sinesi-Francavilla” e, come detto, sulla sua evoluzione criminale. La batteria operava prevalentemente nella provincia dauna ma aveva interessi anche a Rimini e nell’Irpinia oltre che in Bulgaria, Romania e Repubblica Ceca. Al vertice dell’organizzazione, secondo i carabinieri, sedevano Francesco Delli Carri, storico esponente della Società foggiana, e a suo fratello Donato: i due avevano affidato al cugino Aldo Delli Carri il compito di reinvestire i proventi illeciti nel settore immobiliare e nelle truffe attraverso l’indebita percezione di contributi per l’agricoltura erogati dall’Unione e dalla Regione Puglia. Gli indagati, con la connivenza dei funzionari pubblici compiacenti, sono riusciti per l’accusa a ottenere tra il 2013 e il 2018 contributi per 13 milioni e 500mila euro dai cosiddetti “Pif, i “progetti integrati di filiera”.

La nuova “forma” tuttavia, non ha cancellato la tradizionale manifestazione del potere criminale nel territorio: aziende agricole, ditte di trasporti e di onoranze funebri, società attive nella realizzazione di impianti eolici e nel settore delle energie alternative erano oggetto di una “forte pressione estorsiva” hanno spiegato gli investigatori in una conferenza stampa. Le imprese del foggiano prese di mira dal clan pagavano il pizzo in proporzione ai lavori ottenuti, ma non solo. Le aziende erano talvolta costrette ad affidare i lavori, servizi o le forniture, in subappalto ad aziende riconducibili al sodalizio. In alcuni casi dovevano addirittura rinunciare alle commesse ottenute. Le attività dei militari inoltre hanno permesso di ricostruire anche la rete imprenditoriale del clan che tramite prestanomi aveva costituito in Emilia Romagna società per infiltrarsi nei settori edile, del movimento terra, dei trasporti, della ristorazione e anche delle scommesse.

Il Ros di Bari e il Reparto Tutela Agroalimentare di Salerno hanno inoltre eseguito due maxi sequestri: il primo ha bloccato i beni mobili e immobili di 6 indagati per un valore di circa 3 milioni di euro, mentre il secondo del valore di 13 milioni ha riguardato i beni degli indagati accusati di truffa all’Unione Europea. Le indagini si sono avvalse del coordinamento di Eurojust e del contributo dell’Olaf, l’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode di Bruxelles, che hanno il compito di individuare e contrastare le frodi a danno dei fondi europei. “Ancora una volta – ha detto il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho nella conferenza stampa – funzionari pubblici, quindi soggetti corrotti, anziché sviluppare quei compiti di controllo e vigilanza per i quali avrebbero dovuto ricoprire l’ufficio dell’ispettorato, hanno invece essi stessi dato sostegno per la consumazione delle frodi comunitari. L’Europa – ha tuttavia rassicurato il procuratore – deve stare tranquilla e serena sul monitoraggio che viene sviluppato non solo dalle procure distrettuali ma anche delle forze di polizia, con arresti e sequestri all’ordine del giorno”.

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