Un vicebrigadiere e un appuntato scelto con 31 e 22 anni di servizio sono agli arresti domiciliari con le accuse di appropriazione indebita, falso ideologico, accesso abusivo a sistema informatico, oltre che frode in processo penale e depistaggio. A darne la notizia stranamente non è un comunicato stampa dell’arma dei carabinieri, ma il Corriere Milano. I due carabinieri avrebbero prima rubato 11mila euro, durante una perquisizione nella casa di uno spacciatore arrestato, e poi, temendo di essere scoperti, avrebbero tentato di rimetterceli, entrando probabilmente anche nel sistema informatico delle intercettazioni per cancellare delle frasi che potevano incastrarli. Una storia che sarebbe potuta emergere già nel 2018, grazie a una segnalazione fatta da un altro miliare che accusava i due colleghi di essere “tutti sporcaccioni” che avevano voluto “insabbiare” il caso. Ma aveva avuto l’effetto opposto: il militare ne aveva guadagnato un trasferimento, una denuncia alla Procura militare di Verona per insubordinazione – dalla quale sarebbe stato poi assolto – e un processo disciplinare.

La vicenda risale al 18 settembre del 2017 e inizia con un inseguimento a Stezzano (Bergamo), quando i due carabinieri di Rho arrestano un cittadino marocchino, sequestrandogli 250 chili di marijuana. L’inchiesta antidroga è disposta dalla pm milanese Loredana Bartolucci. A quel punto i due perquisiscono la casa dello spacciatore, a Dalmine, ma dichiarano di non aver trovato nulla. La moglie dell’arrestato chiama in caserma, dicendo di non trovare più 11mila euro, ma i carabinieri le rispondono che si sbaglia. Dopo poco però, un’altra chiamata li fa tremare: l’arrestato dal carcere, con un cellulare che recupera chissà come, telefona alla moglie (intercettata) e le dice: “Hai visto che ladri sono? Adesso hai visto che hanno portato via 11”. I carabinieri, seriamente preoccupati di essere scoperti, chiedono alla pm Bartolucci una nuova perquisizione per il 20 settembre, inventando un’ulteriore esigenza investigativa, ma la pm nega il permesso.

I due decidono allora di rientrare lo stesso nella casa a Dalmine, adducendo come scusa il fatto di aver reincontrato la moglie dell’arrestato, di essere stati invitati a salire in casa e di averla aiutata a cercare i soldi che – incredibilmente – in loro presenza vengono ritrovati. Resta però da cancellare l’intercettazione, quindi uno dei due carabinieri che aveva accesso al sistema di intercettazione Mcr della società privata Area, alle 12.13 dello stesso 20 settembre cancella le due frasi dell’arrestato sui soldi spariti e modifica la trascrizione. Ma le cancellazioni, tramite il sistema, possono essere tracciate a ritroso e così inizia l’indagine di un’altra pm milanese, Cristiana Roveda, insieme ai carabinieri di Monza, gli indizi sono tre: un esposto anonimo del 12 febbraio 2019, il ripescaggio della segnalazione del 2018 del carabiniere trasferito e la relazione dell’interprete marocchino che si accorge di un’incongruenza tra audio e trascrizione.

“Si tratta di accuse fondate solo su deduzioni. Giuseppe Grande ha 22 anni di impeccabile servizio, Luigi Marcone addirittura 31 anni, sono carabinieri che fanno onore all’Arma e mai hanno avuto contestazioni, anzi le loro note caratteristiche sono eccellenti”, dice l’avvocata Francesca Lisbona, che difende i due militari avvalsisi della facoltà di non rispondere davanti alla gip Alessandra Clemente del Tribunale di Milano. Gli arresti risalgono a settembre, nel frattempo – riporta sempre Il Corriere Milano – la gip li ha sostituiti con l’obbligo di firma dopo che l’Arma ha sospeso i due dal servizio, ma né i vertici dell’Arma né quelli della Procura, entrambi solitamente non avari di comunicati, ne hanno mai dato notizia.

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