di Mattia Zàccaro Garau

Riconoscere il problema che ci affligge è il primo passo della soluzione. Individuare il volto del nemico, distinguerne fattezze e caratteristiche. Le sedute di psicoterapia, ma anche le speculazioni filosofiche o le analisi sociologiche, si fondano su questo primo passo. Riconoscere è, di fatti, conoscere; e conoscere è già risolvere. Dare nome alle cose, capirne le forme significa comprendere i possibili effetti, poter prevenire il loro peggioramento. Ce lo ricorda anche Dante nella Vita Nova, parafrasando Giustiniano: nomina sunt consequentia rerum.

In questa prospettiva dobbiamo reputare positivo che al vertice delle paure degli esseri umani sia balzato il clima. Il Pew Research Center, centro studi statunitense che svolge ricerche in campo di problemi sociali a livello globale, ha appena stilato il suo annuale rapporto sulle paure che affliggono la popolazione mondiale. I risultati sono a tratti sorprendenti. Il cambiamento climatico è in testa, per la prima volta, addirittura sopra la paura della diffusione di epidemie, pur a fronte della pandemia di Covid-19 in atto. Poi, a scendere: terrorismo, cyber-attacchi e armi nucleari.

Questo tipo di attenzione a proposito dello stato ecologico ci rivela che stiamo concludendo il passaggio dall’angoscia sul clima alla paura del clima. Se la prima è il presentimento di un pericolo di cui manca però la conoscenza diretta, la seconda è invece il timore che accada in futuro qualcosa che abbiamo riconosciuto nella sua oggettività. Se l’angoscia è nebulosa e opprimente, la paura è circostanziata e stimolante.

In questo la divulgazione scientifica ha avuto un ruolo fondamentale nel rendersi, finalmente, comprensibile. Ed è chiaro che, data l’urgenza della crisi ambientale, distinguere i tratti del problema sia necessario per muoverci verso la sua risoluzione. Il salto di qualità in questa presa di coscienza è lampante. L’eco-ansia, che nel 2017 l’American Psychological Association aveva definito come “una paura cronica della rovina ambientale”, è ad un passo dal diventare a tutti gli effetti una patologia. La relazione con il proprio futuro già compromesso porta migliaia di ragazzi della Generazione Z ad un’apatia sperduta, ad una depressione immobile.

Ma in questo terreno vischioso, la mobilitazione dei movimenti giovanili green e il senso di comunità dialogante al loro interno sta permettendo di superare l’eco-ansia trasformandola in qualcosa d’altro. Una sorta di eco-azione che, lontana dai partiti istituzionali, ha riportato alla ribalta la protesta in strada. Certamente in maniera rivisitata e rielaborata rispetto alle proteste di mezzo secolo fa.

Rimane che, soprattutto nei paesi economicamente avanzati, e con maggiore predominanza nella macro-area politica di sinistra, le risposte alla minaccia del cambiamento climatico stanno diventando di tipo attivo. E a distanza di un anno dalla promessa di inserire nella Costituzione la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile, Giuseppe Conte ha fissato l’obiettivo per il 2021. Con Firenze, col suo Festival dell’Economia civile, ad ospitare i protagonisti che dovranno stilare un manifesto che apra la strada alla riforma costituzionale verde.

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