L’idea di Novantesimo Minuto venne a tre giornalisti Rai: Paolo Valenti, il volto con cui si tende giustamente a identificare la trasmissione, Maurizio Barendson e Remo Pascucci. La coppia Valenti-Barendson condusse le prime sei stagioni, poi Valenti guidò il programma – marchiato ormai 90º minuto – in solitaria fino alla scomparsa del conduttore nel 1990. La prima puntata della trasmissione, che faceva vedere i gol del campionato già nel tardo pomeriggio della domenica, andò in onda il 27 settembre 1970. Cinquant’anni fa, in quasi totale assenza di pubblicità ad anticipare l’evento. Il successo arrivò comunque. Nella seconda metà dei Settanta e poi soprattutto negli Ottanta. I corrispondenti dai vari campi entrarono nelle case degli italiani, regalando non solo professionalità ma anche quella verve televisiva che nel mondo del calcio non era abituale. Tantissimi i giornalisti, anche noti, che hanno almeno una presenza a Novantesimo. Ma i magnifici 7 sono Tonino Carino da Ascoli, Marcello Giannini da Firenze, Giorgio Bubba da Genova, Gianni Vasino da Milano, Cesare Castellotti da Torino, Luigi Necco da Napoli e Ferruccio Gard da Verona.

Gard oggi vive al Lido di Venezia. In pensione, si dedica alla sua produzione artistica (fa parte della corrente OP art) ed è impegnato nella scrittura di un thriller ambientato nella città lagunare. Classe 1940, ha origini francoprovenzali, è nato a Vestignè in Piemonte, ma gli appassionati della trasmissione pensano sia veronese “per merito della squadra di Bagnoli”.

Quando hai iniziato la collaborazione con Novantesimo?
Sono entrato in Rai nel 1962, nel gennaio del 1973 sono passato alla redazione di Venezia. Ho esordito con la trasmissione nel 1974. A Valenti, un grande giornalista e un gentiluomo, sono piaciuto subito moltissimo e così mi ha chiesto di diventare un collaboratore fisso. Per un periodo sono stato l’unico inviato. Mi mandava a Udine, Torino, Verona, Milano, Bologna e Roma. Poi nel 1978 la riforma Rai ha introdotto la terza rete, privilegiando la territorialità.

E sei diventato il volto prima del Real Vicenza e quindi del Verona di Bagnoli.
Il Verona è la squadra a cui sono più legato, ho simpatie anche per il Chievo, che però ho fatto solo più recentemente per Quelli che il calcio…

E’ arrivata la notorietà
Sì, con l’arrivo dei i magnifici 7, soprattutto dagli anni ’80. In qualsiasi città andassi, mi fermavano. A volte mi commuovo quando ancora adesso mi riconoscono come il “mitico Ferruccio Gard”, chissà poi perché mitico… e mi ringraziano per i bei momenti che ho fatto trascorrere alla domenica.

Quale è stato il segreto del successo?
Tutti spiccavano perché avevano la loro personalità. Necco aveva battute formidabili in un inconfondibile accento napoletano, Giannini qualche volta si intortava sulla frase, Carino aveva una faccia da pulcino spaurito e pronunciava male i nomi degli stranieri, ma ne sapeva di calcio…

Vi frequentavate anche fuori dalla trasmissione?
Andavo spesso a Milano per la Domenica Sportiva, per cui conoscevo già Vasino, Bubba e Castellotti. A partire dagli 80 Valenti iniziò a convocarci a Viareggio durante il torneo dei ragazzi, per una riunione collettiva e forse anche con l’intenzione di fare spogliatoio.

Il termine “teatrino” accostato al nome della trasmissione ti piace?
Sì, può andare bene. La trasmissione sarebbe stata vista comunque, alle 18 si fermava l’Italia intera. Il nostro teatrino però ha aumentato gli ascolti, anche del pubblico femminile. Suscitavamo simpatia e interesse anche di chi non era appassionato di calcio. Piuttosto ho un rammarico…

Quale?
Non mi mai è stato riconosciuto il merito di aver introdotto per primo nel calcio la satira, con Beppe Viola come predecessore. Il mio umorismo era composta da sfottò e a volte da satira, lo facevo con lo scopo di smitizzare e sminuire il sacro gioco del calcio. Mi piaceva finire ogni collegamento con una battuta o un gioco di parole. La Gialappa si è ispirata a me per Mai dire gol… Poi ci sono i cappelli…

Quelli che indossava nei collegamenti?
Ho esordito con il cappello da Sherlock Holmes. Più tardi sono arrivati quelli di Necco e Galeazzi da cowboy. Era diventata quasi una competizione tra di noi.

Un’opera Op art dedicata a Novantesimo sarebbe possibile?
Non ci ho pensato, ma sarebbe possibile. Dovrei uscire dalla linea cinetica, e fare qualcosa di astratto, si potrebbe giocare sui colori, il pallone e le maglie delle squadre.

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