“È il tipo di vendita che un tempo avrebbe suscitato critiche, forse anche sanzioni: il mese prossimo il Brooklyn Museum metterà all’asta 12 opere da Christie’s per raccogliere fondi per la cura della sua collezione”. La notizia pubblicata sul New York Times non poteva passare inosservata.

Il Brooklyn Museum è un’ istituzione. Si tratta del secondo museo d’arte di New York e tra i più grandi degli Stati Uniti, con la sua estensione di 52mila metri quadrati. La sua collezione permanente può contare su più di un milione e mezzo di oggetti, dall’arte Egiziana a quella Europea, passando per quelle Americana e Africana. Con l’aggiunta del Centro Elizabeth A. Sackler per l’Arte Femminista, oltre che di una Biblioteca e degli Archivi. Sfortunatamente la pandemia ha ridotto drasticamente gli ingressi che generalmente si attestavano sulle circa 500mila unità. Prima la chiusura, poi la riapertura, ma con una capacità ridotta, determinata da un lato dalle precauzioni necessarie a garantire la sicurezza e dall’altro dal turismo quasi inesistente. Circostanza che ha sostanzialmente costretto ad una decisione estrema. Mettere all’asta da Christie’s Old Masters un pezzetto della sua collezione. “Questo è qualcosa che è difficile da fare per noi. Ma è la cosa migliore per l’istituzione e la cura delle collezioni”, ha detto Anne Pasternak, direttrice del museo.

Le opere che finiranno sul mercato – Così la “Lucretia” di Lucas Cranach il Vecchio, e capolavori di Donato de ‘Bardi, Giovanni dal Ponte, Francesco Botticini e un ritratto attribuito a Lorenzo Costa saranno venduti il 15 ottobre. Insieme ad opere di Gustave Courbet, Camille Corot, Hendrik Willem Mesdag, Charles-François Daubigny e Philip Wilson Steer. Stessa sorte per “Il torero spagnolo con fiori” di Jehan-Georges Vibert e un’opera di un artista anonimo della Netherlandish School che però potranno essere acquistati online a partire dal 1 ottobre. Una sottrazione dolorosa, ma che non dovrebbe penalizzare l’esposizione. Le opere in vendita, selezionate dai curatori e approvate dal consiglio di amministrazione, “sono buoni esempi nel loro genere ma la loro assenza non sminuisce le nostre collezioni“, ha assicurato Anne Pasternak. La direttrice ha poi spiegato: “Abbiamo una vasta collezione di arte di alta qualità, ma abbiamo opere che, come molti musei della nostra dimensione, non sono esposte da decenni, in alcuni casi addirittura non lo sono state mai”.

Lisa Small, la curatrice senior della Collezione di Arte Europea del museo ha proceduto nella difficile selezione delle opere chiedendosi, ogni volta, “Possiamo ancora raccontare la storia di quell’artista? Possiamo ancora raccontare la storia di quel momento? Possiamo ancora avere il tipo di conversazioni che vogliamo senza danneggiare la nostra capacità di fare nulla di tutto questo?”. Solo di fronte ad una serie di risposte affermative un’opera “diventa un buon candidato per la vendita”.

Non un caso isolato – Certo è che l’iniziativa del Brooklyn Museum non sarebbe stata possibile se lo scorso aprile l’Association of Art Museum Directors non avesse deciso che, fino al 10 aprile 2022, non verranno penalizzati i musei che “utilizzano i proventi delle opere d’arte vendute per pagare le spese associate alla cura diretta delle collezioni”. La vendita di un’opera per acquisirne delle altre è del tutto lecita, per i musei statunitensi. Recentemente lo hanno fatto il Baltimore Museum of Art e il San Francisco of Modern Art. Anche il Brooklyn Museum, lo scorso novembre, ha venduto da Sotheby’s, “Pope” di Francis Bacon ricavandone 6,6 milioni di dollari. Ma le condizioni sono cambiate e con esse le regole. Ora si può vendere anche per riequilibrare le spese.

Il Brooklyn Museum è la prima grande istituzione statunitense a sfruttare questa finestra di due anni. Per ovviare alla crisi da pandemia non c’era altra strada. Anne Pasternak spera di arrivare ad istituire un fondo di 40 milioni di dollari che possa generare 2 milioni di dollari all’anno, per pagare le cure della collezione. Come la pulizia o il trasporto di un’opera d’arte. Ma anche come almeno una parte degli stipendi di coloro che sono coinvolti in tale assistenza, come registrar, curatori, conservatori e gestori di collezioni.

Altri musei pronti a vendere – Anche altre istituzioni museali è più che probabile seguiranno la strada del Brooklyn Museum. La crisi da pandemia non ha risparmiato nessuno. L’Indianapolis Museum of Art a Newfields, ad esempio, ha recentemente intrapreso uno sforzo ambizioso per classificare ciascuno dei 54.000 articoli della sua collezione con un voto in lettera. Il 20% ha ricevuto una D, rendendoli candidati per essere venduti o dati a un’altra istituzione. Christine Anagnos, direttrice esecutiva dell’Association of Art Museum Directors, ha affermato che le scelte del Brooklyn Museum “hanno un senso”. Ma il pericolo è che si possa ricorrere a delle vendite anche in situazioni nelle quali sarebbe possibile farne a meno. In fondo capitalizzare un’opera, mettendola sul mercato è l’operazione più semplice. Anche se estremamente pericolosa. Da utilizzare con parsimonia

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