Dal principio “chi inquina paga” a “chi inquina lo fa gratis“. L’ultimo rapporto della Corte dei Conti Ue sul mercato europeo del carbonio, cioè sul sistema pensato per rendere più costosa l’emissione di Co2 prodotta dalle grandi industrie del continente, suona come una sonora bocciatura. I magistrati contabili hanno messo in fila i risultati ottenuti negli ultimi anni. E sostengono che se la Commissione non rivedrà alcune regole, le aziende responsabili del 94% dei gas serra in Ue continueranno a ricevere “permessi gratuiti” ad inquinare fino al 2030. Di cosa si tratta? Delle quote di Co2 che ogni big dell’industria dovrebbe “acquistare” in rapporto ai suoi livelli di produzione tramite le aste verdi indette periodicamente dagli Stati. Eppure fino a oggi gran parte di queste quote è stata assegnata a costo zero. Tutto alla luce del sole, in base a motivi che per la Corte non sono mai stati dimostrati. Come se non bastasse, soprattutto durante gli anni della crisi economica, i colossi del cemento, del petrolio e della chimica sono riusciti a sfruttare la falla mettendo in piedi un business milionario a danno delle finanze pubbliche (e dei consumatori). Compresa l’Italia. È per questo che, scrivono i giudici nel rapporto appena pubblicato, gli obiettivi di decarbonizzazione fissati da Bruxelles rischiano di rimanere un miraggio. Proprio nel giorno in cui la presidente Ursula von der Leyen è attesa alla plenaria dell’Europarlamento per presentare i contenuti del Piano per il Clima 2030 che prevede di tagliare di “almeno il 55%” i gas serra entro i prossimi 10 anni, spingendosi ancora oltre rispetto all’obiettivo attuale del 40%.

Come funziona il sistema Ets – Per capire cos’è il mercato Ue del carbonio (o Ets: Emissions trading system) bisogna fare un passo indietro. Introdotto per la prima volta nel 2005, si basa su due strumenti: un tetto alla quantità totale di Co2 che può essere diffusa nell’atmosfera fissato da Bruxelles (ogni anno più basso) e un mercato virtuale in cui le aziende acquistano o rivendono le loro “quote di inquinamento”. Il prezzo è stabilito proprio dalle oscillazioni di mercato e nel 2019 ha raggiunto una media annua di circa 25 euro a tonnellata di Co2. Ogni Stato membro, inoltre, mette periodicamente all’asta nuovi permessi con l’obiettivo di reinvestire il ricavato nella lotta al climate change. In poche parole, l’idea è che chi vuole inquinare in Europa deve pagare per farlo. Il problema è che, sin da quando l’Ets è entrato in vigore, c’è chi ha sollevato il rischio che alcune aziende del Vecchio continente potessero diventare meno competitive di quelle extra-Ue (dove il carbonio non ha alcun costo) e quindi decidere di delocalizzare altrove le fabbriche. Per mettere una pezza, si è pensato di concedere gran parte dei permessi a inquinare a titolo gratuito.

Le critiche della Corte dei conti Ue – Una situazione che è andata avanti per anni e che ha favorito i big dell’industria pesante. A partire dalla crisi economica, quando molte aziende hanno ricevuto più “quote” di Co2 rispetto a quelle necessarie e le hanno rivendute ai competitor, traendone profitti milionari. In Italia, come ha raccontato un’inchiesta su FqMillennium, ne hanno beneficiato, tra gli altri, l’Ilva di Taranto, Italcementi, Buzzi e Versalis (del gruppo Eni). Uno scandalo di cui associazioni ambientaliste ne hanno parlato per anni. E ora è arrivata anche la conferma della Corte dei conti europea. Come si legge nel rapporto pubblicato il 14 settembre, “l’assegnazione gratuita di quote doveva essere più mirata” per poter dare benefici alle finanze pubbliche e al processo di decarbonizzazione del continente. La stima è che anche nella fase 4 dell’Ets (cioè dal 2021 al 2030) “circa il 40% delle quote continuerà ad essere assegnato gratuitamente”. Nel corso del tempo, infatti, l’elenco delle categorie di aziende beneficiarie di questi permessi a inquinare a costo zero è stato ridotto. Ma per i giudici contabili lo sforzo è stato minimo.

“Nessuna prova di rilocalizzazione” – I settori che saranno ancora graziati dall’Ue comprendono l’estrazione di petrolio e minerali ferrosi, la produzione di zucchero, oli e amidi, oltre che di cemento, alluminio e altri materiali pesanti, fino alla fabbricazione di carta, gas industriali e pure di materie plastiche. In totale, scrive la Corte dei conti, “costituiscono ancora il 94% delle emissioni industriali” di tutto il continente. Il motivo è sempre lo stesso: impedire la delocalizzazione in Paesi più vantaggiosi economicamente. Eppure, si legge nel report, “uno studio finanziato dalla Commissione europea non ha trovato prova di rilocalizzazione delle emissioni di biossido di carbonio, sebbene altri studi sostengano che la rilocalizzazione non si è verificata proprio a causa dell’assegnazione gratuita delle quote”. In più, sottolineano i magistrati contabili, molti target ambientali non sono mai stati raggiunti. Se è vero che l’Ue è riuscita a disgiungere “la crescita economica dalla crescita delle emissioni di gas a effetto serra” (diminuite del 22% tra il 1990 ed il 2016), dall’altro lato gli Stati che hanno ricevuto più quote gratuite per modernizzare i propri settori energetici (specialmente nell’Est Europa) hanno registrato una “diminuzione molto minore in termini di intensità di carbonio” rispetto a chi ne ha ricevute di meno.

La mancata carbon tax e il caso del settore aereo – Tutte storture di cui la Commissione, continua la Corte, era già a conoscenza. Ma solo di recente ha iniziato a discutere di una “importante alternativa“, cioè la carbon tax alle frontiere. In sostanza un modo per equiparare il costo di ciò che viene prodotto fuori dai confini dell’Ue (dove non si paga il prezzo delle emissioni). L’ipotesi, si legge ancora nel report, finora è stata esclusa da Bruxelles a causa di “potenziali conflitti con norme commerciali multilaterali e reazioni negative da parte dei paesi non-Ue”. Un capitolo a parte riguarda il settore aereo, soggetto a regole ancora più vantaggiose rispetto all’industria pesante. Gran parte dei permessi a inquinare viene ceduto gratuitamente alle compagnie, dal momento che il sistema Ets non può essere applicato anche ai vettori stranieri che transitano nei cieli europei. In attesa che entri in vigore un mercato del carbonio ad hoc creato dal consorzio internazionale Icao (sarà obbligatorio solo dal 2027), la Corte segnala che l’assegnazione gratuita delle quote “può andare a sostegno dei viaggi aerei ad alta intensità di carbonio, a scapito del trasporto ferroviario” (ben più sostenibile per l’ambiente). Basta prendere in considerazione la tratta Barcellona-Madrid per capire la differenza. Stando al rapporto, le emissioni medie di un aereo che compie questo tragitto sono di 115,4 chilogrammi di Co2 a passeggero, mentre un treno ne emette solo 17 chili.

I nuovi obiettivi di Von Der Leyen per il 2030 – Tutti questi punti, conclude la Corte dei conti, devono essere corretti se si vuole davvero raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. “Ad esempio, classificando i settori che attualmente ricevono quote gratuite” in tre categorie: “come molto esposti, moderatamente esposti o poco esposti” al rischio di delocalizzazione. La palla ora passa a Bruxelles, che proprio in queste ore si appresta ad annunciare le novità del Piano per il clima 2030. Nelle bozze del documento trapelate nei giorni scorsi si legge che l’intenzione della Commissione è quella di estendere il sistema dell’Ets anche al settore marittimo e al “trasporto su gomma“, in modo tale da coprire “tutte le emissioni da combustibili fossili”. Ma la battaglia si preannuncia durissima, dal momento che i prezzi del carburante rischiano di schizzare in alto. Secondo l’ong Transport&Environment, la stima è che aumentino fino al 14% al litro in 10 anni. “L’Europa dovrebbe invece concentrarsi su leggi che spingano le case automobilistiche ad accelerare la transizione all’elettricità“, sostengono. Sullo sfondo resta la madre di tutte le battaglie, cioè il target ambientale da fissare per il 2030. Gli eurodeputati della commissione Ambiente di Strasburgo spingono per ridurre le emissioni del 60%, mentre molti Stati dell’Est non vorrebbero andare oltre il 50%. A Von der Leyen il compito di mediare. E di trovare la strada per dare all’Europa il suo “momento Uomo sulla Luna” nella lotta al climate change.

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