Era il 17 aprile quando la rivista Science con un lungo articolo descrisse lo stupore dei medici di fronte a una malattia “feroce e multisistemica”. Le evidenze dopo le prime settimane di emergenza sanitaria erano che Sars Cov 2 attaccava solo polmoni e cuore. Ma l’infezione, come una furia, colpiv, a l’intero organismo, danneggiando anche vasi sanguigni, reni, intestino, occhi e cervello. Il virus, ora lo sappiamo, agisce in modo diverso da qualsiasi altro patogeno mai visto finora. Inizia il suo cammino entrando nella gola e nel naso, dove trova un ambiente accogliente nel rivestimento nasale. E poi dilaga. L’assalto anche al cervello, come dimostrato da uno studio italiano lo scorso giugno e da altre ricerche, ha preoccupato anche i ricercatori che lavorano al vaccino di Oxford/Astrazeneca. A Repubblica la direttrice scientifica di Advent-Irbm Stefania Di Marco ricorda come: “Il virus non attacca solo i polmoni, ma una pluralità di organi. I reni, il fegato e, ora è stato dimostrato, anche il cervello”.

Nel lavoro, pubblicato sull”European Journal of Neurology’, i principali disturbi riscontrati vanno dalla cefalea alle mialgie, all’encefalopatia. La ricerca – realizzata dalla Clinica neurologica III del presidio ospedaliero San Paolo dell’Asst Santi Paolo e Carlo, e dal Centro di ricerca ‘Aldo Ravelli’ di UniMi – si è basata su un’indagine condotta attraverso questionari online composti da 17 domande, distribuiti ai medici europei impegnati nel fronteggiare la pandemia di coronavirus Sars Cov 2. Sono stati raccolti più di 2.300 questionari che riportavano appunto la presenza di sintomi neurologici in circa tre quarti dei pazienti. Per gli autori, lo studio suggerisce che “si sta aprendo un nuovo capitolo nei libri di neurologia” e che “i neurologi potranno avere un ruolo importante nella gestione della pandemia e nei suoi esiti”.

“I meccanismi responsabili dell’interessamento neurologico sono molteplici – spiegava Alberto Priori, direttore della Clinica neurologica III del San Paolo, professore del Dipartimento di Scienze della salute in Statale e fra gli autori dello studio – Possono essere diretti per effetto della diffusione del virus nel tessuto nervoso, come dimostrato proprio qui al Polo universitario San Paolo dove per la prima volta è stato identificato col microscopio elettronico il virus e i danni tissutali correlati all’infezione”. Ma “ci sono anche meccanismi indiretti, come per esempio l’importante attivazione della coagulazione del sangue, che possono portare a ictus. L’importanza dello studio – evidenzia l’esperto – è che a livello europeo si è dimostrato che i sintomi neurologici sono frequentemente riscontrabili”. Ora saranno da “valutare le complicanze neurologiche tardive dell’infezione – sottolineano da San Paolo e UniMi – poiché in molti dei pazienti più gravi poi guariti si riscontrano alterazioni neurologiche che richiedono uno stretto monitoraggio e la collaborazione tra molti specialisti con un percorso riabilitativo complesso che può essere anche molto lungo”.

Un altro studio, pubblicato ad agosto, ha ipotizzato come uno dei sintomi più significativi: ovvero la perdita dell’olfatto si manifesta perché l’agente patogeno agisce anche sul cervello e sul sistema nervoso centrale. Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori europei esperti in disturbi olfattivi, guidato da Carl Philpott della Norwich Medical School dell’University of East Anglia (Uea) nel Regno Unito, è arrivato a questa conclusione analizzando per la prima volta i problemi di olfatto e di gusto riportati da pazienti infettati dal coronavirus Sars CoV 2 con quelli segnalati da persone raffreddate.

Che il coronavirus sia in grado di penetrare direttamente nel bulbo olfattivo e raggiungere il sistema nervoso, comportando la perdita di olfatto, è quanto emerge dai casi clinici riportati da Patrizia Morbini della Università di Pavia riportati sulla rivista Jama Otolaryngology – Head &Neck Surgery. “Abbiamo potuto prelevare il bulbo olfattorio in due soli pazienti – raccontava l’esperta in una intervista all’Ansa – e lo studio riporta i risultati osservati in uno dei due, che aveva una forma grave di Covid”. “In questo paziente abbiamo dimostrato con la microscopia elettronica la presenza del virus nel bulbo olfattorio; associato ad una grave infiammazione”.

Questo aspetto suggerisce un danno diretto del virus nel bulbo olfattorio. Non è stato possibile, però, stabilire con precisione in quali tipi di cellule erano presenti le particelle virali. Inoltre, “per quanto riguarda il naso ed in particolare la mucosa olfattoria, che abbiamo isolato specificamente – precisa la Morbini – anche qui abbiamo osservato la presenza di abbondanti particelle virali, associate a infiammazione, in entrambi i pazienti studiati”. Pur trattandosi di un case report, quindi di una singola osservazione clinica, , “la nostra rappresenta la prima evidenza di un diretto coinvolgimento del bulbo olfattorio da parte del SARS-CoV-2, che va a supportare i dati strumentali di danno in questa area in pazienti COVID, e l’evidenza clinica di compromissione dell’olfatto. Ciò suggerisce che questo virus, come altri coronavirus, è in grado di raggiungere il sistema nervoso attraverso le fibre dei recettori della mucosa olfattori“.

Lo studio sull’European Journal of Neurology

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