Su un centinaio di aziende che hanno chiesto e ottenuto gli ammortizzatori sociali per Covid, solo otto casi di irregolarità. In cui ai dipendenti formalmente in cassa integrazione veniva imposto di continuare a lavorare pagati dallo Stato. Mentre a non aver attuato le misure anti contagio è stata un’impresa ogni sei. Sono i dati inediti, aggiornati al 31 agosto, sui risultati dei controlli condotti durante la pandemia dall’Ispettorato nazionale del lavoro. Il quadro sarebbe confortante, se non fosse un’illusione ottica. Perché quei numeri sono per forza di cose pesantemente sottostimati. Per capirlo basta guardare le forze in campo. Tra assoluta carenza di personale e impossibilità di fare verifiche su chi lavora da casa, le armi dell’agenzia istituita dal Jobs Act con l’ambizione di accorpare le funzioni di vigilanza di ministero del Lavoro, Inps e Inail erano a dir poco spuntate.

“Non si fanno assunzioni da molto tempo, molti amministrativi sono andati in pensione e gli ispettori, ora meno di 1.500, per forza di cose devono fare anche attività d’ufficio”, spiega a ilfattoquotidiano.it Orazio Parisi, a capo della Direzione centrale tutela, sicurezza e vigilanza del lavoro dell’Istituto, che dal 2017 ha il compito di programmare e coordinare tutta la vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale oltre che in materia contributiva e assicurativa. “Nel gennaio 2017 eravamo 5.673, alla fine di quest’anno a fronte di una pianta organica di 6.515 persone rimarremo in 4.439 tra amministrativi e ispettori“. E l’età media è molto alta: “Nel 2021 sono previste altre 558 uscite, che saranno anche di più per effetto di quota 100 e simili”. Del concorso per 882 funzionari annunciato nel 2019 e rinviato causa pandemia non ci sono più notizie, mentre una seconda selezione per 264 persone partita a fine giugno è in fase di analisi delle domande. Non abbastanza, comunque: “Le assunzioni, quando ci sarà consentito di farle effettivamente, a malapena copriranno le cessazioni”. A complicare le cose c’è anche il fatto che l’Inl non ha accesso alle banche dati Inps con le posizioni dei singoli lavoratori e quelle delle aziende che fruiscono degli ammortizzatori.

E’ in questo quadro che l’istituto ha dovuto affrontare la “piena” del Covid. Al 31 agosto sono stati completati 60mila accessi ispettivi (sotto la media a causa del lockdown) registrando un tasso di irregolarità pari al 70%, che è comunque la – drammatica – media riscontrata anche negli anni scorsi. L’attività legata direttamente alla pandemia si è intensificata in aprile, quando il governo ha dato ai prefetti la possibilità di appoggiarsi anche agli ispettori del lavoro per le verifiche sulle misure anticontagio: da allora il personale Inl, supportato da circa 300 militari del comando Carabinieri per la tutela del lavoro, ha fatto 12.033 accessi in aziende per controllare l’attuazione dei protocolli. La percentuale di irregolarità, a livello nazionale, è risultata pari al 16%, con picchi del 30% al Sud e del 24% nel settore agricolo mentre nella manifattura la percentuale si ferma al 15%. Si va dalla mancata sanificazione a modalità improprie di ingresso in azienda di fornitori, dipendenti e visitatori, dispositivi di protezione mancanti o non utilizzati. Ne sono derivate “3.558 contestazioni e 391 proposte di chiusura formulate ai Prefetti”, fanno sapere dagli uffici.

Ben più magro il capitolo delle verifiche sugli ammortizzatori con causale della Covid per scovare quelli che sono stati definiti “furbetti della cig”. Sono stati solo 381 – a fronte di centinaia di migliaia di aziende che hanno chiesto la cig durante e dopo il lockdown – gli accertamenti attivati su segnalazione dei sindacati o per decisione autonoma dell’Inl. Che paradossalmente non ha accesso alle banche dati Inps e solo nei prossimi mesi dovrebbe ricevere dall’istituto previdenziale gli elenchi delle imprese interessate. Liste “particolarmente importanti”, segnalano dagli uffici, visto che “di norma i lavoratori non procedono a richiedere l’intervento dell’organo ispettivo per il timore di perdere il posto di lavoro e delle dirette conseguenze, anche penali, che li riguarderebbero”.

Quando poi la verifica è in corso, “possiamo accedere ai luoghi di lavoro mentre è complicato accedere ai domicili privati“, racconta Parisi. Il risultato è che se i lavoratori in cassa integrazione continuano a collegarsi per otto ore al giorno dal computer di casa su richiesta dell’azienda, gli ispettori non hanno modo di verificarlo. E l’abuso di uno strumento pagato con soldi pubblici non viene scoperto. Per questo va preso con le pinze il dato sull’esito di quelle verifiche: quelle già concluse sono “poco più di 100” e “hanno fatto registrare una percentuale di irregolarità pari all’8%“, che sale al 15% nell’edilizia. Nella quasi totalità dei casi l’irregolarità è consistita nell’aver “continuato ad utilizzare le prestazioni dei lavoratori collocati in cassa integrazione”. Le poche aziende scoperte sono state segnalate alle Procure competenti per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.

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