Lo scorso aprile il ministro della Casa Civile e più alto rappresentante dei militari nel governo brasiliano, generale Walter Braga Netto, presentò a sorpresa il suo “Pro Brasil”, un piano Marshall per uscire dalla crisi generata dalla pandemia di Covid-19 attraverso investimenti finanziati con denaro pubblico in barba ai vincoli di bilancio. Da allora nel governo brasiliano si è aperta una falla. Nonostante i tentativi di tamponare del presidente Jair Bolsonaro, la situazione è degenerata arrivando a spaccare in due governo. Da un lato, sempre più isolato, l’ortodosso neoliberale ministro dell’economia Paulo Guedes, sostenitore della politica del rigore di bilancio, delle privatizzazioni, dello Stato fuori dall’economia. Dall’altro, sempre più immanenti, i pragmatici militari promotori del superamento del tetto di spesa imposto ai conti federali, pronti ad attuare politiche keynesiane di stimolo economico, miste a quel pizzico di assistenzialismo capace di aiutare Bolsonaro, e così loro, alle prossime elezioni.

Che il piano di privatizzazioni, ossessione accademica e politica del ‘Chicago boy’ Guedes sia stato messo ormai da parte lo testimoniano le dimissioni dei sottosegretari alla De-statalizzazione e privatizzazione, Salim Mattar, e quello alla Sburocratizzazione, Paulo Uebel. Entrambi hanno lasciato il governo in polemica di fronte alla evidente mancanza di volontà politica nel consegnare ai privati le aziende statali più prestigiose e economicamente valide, e di fronte al peso sempre maggiore dei militari nelle decisioni di Bolsonaro. Un’uscita bollata da Guedes come “fuga precipitosa”, ma che in realtà non lo è affatto. Con le dimissioni di Mattar e Uebel, sette tra sottosegretari e componenti della squadra messa su dal ministro per portare avanti l’ambizioso piano di riforme in chiave neoliberale hanno lasciato il governo dall’inizio del mandato. Tutti per lo stesso motivo.

Guedes non ha gradito, al punto da arrivare ad agitare contro Bolsonaro lo spauracchio dell’impeachment e puntare il dito contro i militari, affermando che “i consiglieri” che cercano di convincere il presidente a “violare” la regola del tetto alla spesa pubblica “conducono il presidente in un’area oscura, in zona impeachment per irresponsabilità fiscale”, aggiungendo che “se il presidente vuole essere rieletto dobbiamo muoverci all’interno dei vincoli di bilancio, facendo la cosa giusta, affrontando le sfide delle riforme“. La presa di posizione di Guedes, considerato il ‘fiduciario’ dei mercati, è stata presa prima dell’apertura della borsa, con l’idea di generare una reazione e mostrare così la sua forza. Tuttavia, quindici minuti prima dell’apertura della sessione, con tono stranamente pacato Bolsonaro è apparso in video a tranquillizzare tutti sul fatto che riconosce l’importanza delle privatizzazioni e che la responsabilità fiscale e il tetto alla spesa pubblica continuano ad essere “la stella polare” del governo. Ma la realtà è ben più caotica.

Da mesi i militari e alcuni settori politici esercitano pressioni sul presidente Bolsonaro perché i piani della campagna elettorale vengano cambiati a causa dell’emergenza economica da affrontare. Per contrastare gli effetti della crisi generata dalla pandemia di Covid-19 sarebbe necessario investire in opere pubbliche più che attendere l’eventuale effetto positivo delle riforme in un prossimo futuro. E per questo viene proposto il Pro-Brasil con la previsione di iniezione di 800 milioni di euro di spesa. La proposta prevedrebbe il congelamento delle privatizzazione che a causa di questioni burocratiche e legali non garantiscono necessarie risposte a breve termine. Di fronte all’emergenza Guedes viene criticato per mancanza di reattività di fronte all’urgenza. La sua ortodossia accademica non gli permetterebbe di vedere oltre, e il fatto che lo sforamento del budget appare comunque inevitabile e che riforme e privatizzazioni anche prima della crisi non avevano ottenuto grandi successi.

Al netto di una striminzita riforma previdenziale che lascia intatti i privilegi più costosi, la riforma della pubblica amministrazione è stata chiusa in un cassetto e la riforma tributaria, dopo il passaggio in parlamento, rischia di aumentare l’imposizione fiscale piuttosto che ridurla. Le aste per i diritti di estrazione del preziosissimo petrolio pre-sal sono andare praticamente deserte, aggiudicando solo due concessioni alla statale brasiliana Petrobras in consorzio, al 5 per cento, con aziende di stato cinese, e solo per la richiesta di aiuto di Bolsonaro al presidente cinese Xi Jinping. Il governo è riuscito solo a cedere la gestione di 22 aeroporti ai privati stranieri. Niente a che vedere con i mille miliardi di real (156 miliardi di euro) annunciati in campagna elettorale. L’invasione di fondi stranieri promessa non c’è stata, al contrario. Tra maggio 2019 e maggio 2020 gli investitori internazionali hanno ritirato investimenti per un totale di 50,9 miliardi di dollari.

Di fronte a tutto ciò emerge la necessità di cambiare rotta e puntare a qualcosa di più concreto. Anche accettando una maggiore presenza dello Stato nella fase di ripresa. I militari hanno preso iniziativa per mostrare di essere pronti a condurre il processo, consapevoli anche che mantenere le aziende statali significa mantenerne il controllo. Gestire gli investimenti della spesa pubblica significa mantenerne il controllo. E consapevoli che le politiche assistenzialiste garantiscono voti, come verificato nel corso di una visita nella regione nordest del paese, di solito ostile a Bolsonaro, dove il presidente ha incassato un successo grazie ai bonus covid da 600 real (100 euro), distribuiti alla popolazione in difficoltà. Tutto questo potrebbe compensare l’eventuale perdita di parte dell’elettorato che non vedrebbe di buon occhio il ritorno alle politiche economiche per cui i governi del Partito dei Lavoratori di Inacio Lula da Silva e Dilma Rousseff sono stati criminalizzati negli ultimi anni.

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