Fiduciario”. È questo l’aggettivo che l’Italia ha inserito in tutti i provvedimenti che normano l’ingresso nel Paese nella Fase 3 dell’emergenza Covid. Parola che si lega a “quarantena” o, più propriamente, a “isolamento”, comportamenti in teoria obbligatori per chi arriva da paesi extra-Ue e per chi, in generale, come unico sintomo ha una temperatura corporea superiore a 37.5. Una fiducia riposta in tutti coloro che giungono (o rientrano) in Italia ma che a volte – come dimostrano i tanti casi di “ritorno” registrati negli ultimi giorni – viene tradita, per superficialità o per evidenti buchi normativi.

Obblighi di chi arriva dall’esterno La normativa di riferimento è l’articolo 4 del Dpcm 147 dell’11 giugno 2020. Qui si afferma chiaramente che “chiunque intende fare ingresso nel territorio nazionale” è tenuto “a consegnare al vettore (la compagnia aerea, in questo caso, ndr) una dichiarazione recante l’indicazione in modo chiaro e dettagliato” dei “motivi del viaggio”, “indirizzo completo della dimora dove sarà svolto il periodo di sorveglianza sanitaria” e “recapito telefonico anche mobile presso cui ricevere le comunicazioni”. A quel punto “i vettori acquisiscono e verificano prima dell’imbarco la documentazione”.

E quando si arriva a destinazione? “Le persone – si legge al comma 3 – anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicarlo immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente” e “sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario per un periodo di 14 giorni presso l’abitazione o la dimora preventivamente indicata”. Dimora che, in mancanza di un mezzo privato, si deve raggiungere “nelle modalità determinate” dall’Autorità sanitaria. Ma che in quasi tutti i casi diventa il treno, l’autobus o il taxi.

Tutte le deroghe Ci sono però tutta una serie di deroghe agli ingressi nel Paese. La più importante è contenuta al comma 9 dell’articolo 4 del dpcm 147, e riguarda i cittadini e i residenti nell’Unione Europea e, più in generale, negli stati parte dell’accordi di Schengen, in Regno Unito e in Svizzera e nei micro-stati come Andorra, Monaco, San Marino e Città Vaticano. Questi non sono sottoposti a isolamento fiduciario – a meno che non presentino sintomi – e come specificato in una disposizione del Ministero della Salute del 23 giugno – recepita dall’Enac – sono tenuti soltanto a presentare (ove richiesta) un’autocertificazione sui motivi del viaggio e i contatti a rischio avuti nei 14 giorni precedenti.

Ma chi può entrare in Italia, oltre ai cittadini comunitari? Un’ordinanza firmata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, il 30 giugno 2020, consente poi fino al 14 luglio “in ogni caso” gli ingressi in Italia anche per i cittadini di Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova Zelanda, Ruanda, Serbia, Corea del Sud, Tailandia, Tunisia e Uruguay. Questi ultimi sono comunque obbligati a isolamento fiduciario e controllo sanitario. Per le persone provenienti da tutti gli altri Paesi, invece, ci sono limitazioni legate alla motivazione del viaggio, fattispecie determinata dal decreto-legge 33 del 16 maggio 2020, articolo 1, comma 4, dunque “comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza” oppure “per motivi di salute”.

I buchi nelle norme e nei controlli In estrema sintesi: libera circolazione se si arriva da stati Ue (più Svizzera e Regno Unito); ingresso con quarantena “in ogni caso” per i cittadini di 14 paesi (ordinanza Speranza del 30 giugno); ingresso con quarantena solo per lavoro o salute per tutti gli altri (anche paesi a rischio come Brasile, Stati Uniti e Bangladesh). Ma nella pratica le cose sono diverse. Innanzitutto esiste un grosso problema con gli scali comunitari, rilevato anche dalla Regione Lazio all’aeroporto di Fiumicino, il più importante d’Italia e fra i principali in Europa. Chi fa scalo, cambiando aereo, in Europa, non viene controllato, un po’ perché si presuppone che le verifiche siano state già effettuate dal primo paese di approdo, un po’ perché l’autorità si concentra sui voli internazionali. Poi c’è il tema della “dimora” e, soprattutto, del contatto telefonico. La gran parte dei viaggiatori fornisce il proprio numero di cellulare, attraverso il quale è impossibile verificare il rispetto dell’isolamento domiciliare. Infine, i contatti con altre persone nella stessa casa. A Roma, ad esempio, esiste il fenomeno dei lavoratori del Bangladesh, che magari rispettano la quarantena ma alloggiano in appartamenti con numerosi connazionali. Per loro l’assessore laziale Alessio D’Amato ha disposto, con un’ordinanza de 6 luglio, i tamponi all’arrivo e l’isolamento in albergo, come durante il lockdown.

Cosa accade negli altri Paesi europeiLa normativa italiana non è molto differente da quella degli altri stati comunitari. In Germania, gli stati extra Ue ai cui cittadini è consentito l’ingresso “in ogni caso” sono 11 e non 14: rispetto all’Italia non compaiono in lista Algeria, Marocco, Ruanda e Serbia (ma c’è la Cina) è invece sempre consentito il transito verso altri paesi Ue. Posizione leggermente più restrittiva per il Regno Unito. L’ 8 giugno Londra aveva introdotto l’obbligo di isolamento cautelare di 14 giorni per tutti i viaggiatori in arrivo, ma dal 10 luglio i viaggiatori in arrivo dall’Italia e da altri Paesi ritenuti “a rischio ridotto” dovranno continuare a compilare un formulario online, restando tuttavia esentati dalla quarantena. La Francia ha inserito la quarantena per chi arriva da Spagna e Regno Unito “per motivi di reciprocità”. Quasi impossibile in questo momento – almeno per un europeo – andare negli Stati Uniti: dal 2 luglio il presidente Donald Trump ha disposto il ritiro di numerosi visti e possono entrare soltanto “residenti permanenti negli Stati Uniti”, “chi abbia un coniuge statunitense” o “qualunque cittadino straniero il cui ingresso nel Paese è considerato di interesse nazionale dal Segretario di Stato o dal Segretario del Dipartimento per la Homeland Security” e “qualunque cittadino straniero il cui ingresso nel Paese è funzionale alla ‘food supply chain’”.

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