Il potenziamento del controllo sul contante, in una fase di emergenza come questa, permetterebbe “di meglio intercettare l’utilizzo improprio delle ingenti disponibilità liquide a disposizione della criminalità, come confermano anche le più recenti operazioni di polizia”. A dichiararlo, nel corso di una conferenza stampa per la presentazione del rapporto 2019 dell’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (Uif), è il direttore Claudio Clemente, facendo riferimento ai flussi delle transazioni in contanti, anche frazionate, di importo pari o superiore a 10mila euro mensili comunicate da banche e operatori finanziari. Sono 350, dice, le attività sospette registrate tra la fine di febbraio e la metà di giugno. La crisi, aggiunge, ha stimolato movimenti anomali di contanti che, in alcuni casi, suggeriscono il possibile coinvolgimento della criminalità e forme di usura che si sono sviluppate anche online, a causa delle limitazioni agli spostamenti.

“Le carenze qualitative riscontrate in questi primi mesi confermano le difficoltà” delle banche “di tracciare adeguatamente le movimentazioni di contante e l’utilità della rilevazione anche per intercettarne utilizzi anomali” e “ulteriori operazioni sospette, frammentate fra diversi intermediari per ostacolarne la rilevazione”, spiega Clemente che poi sottolinea “come in occasione di ogni evento che richiede interventi di ingentissima entità si aprano spazi alla corruzione e agli illeciti che vengono cinicamente sfruttati”. E questo è il caso delle ricadute economiche legate all’emergenza sanitaria.

Le organizzazioni hanno però dovuto fare i conti con un cambiamento sostanziale del modus operandi, dovuto al lockdown e alle limitazioni degli spostamenti, ma al quale si sono adattate rapidamente: “Un cambiamento significativo, destinato a consolidarsi, che pone nuove sfide all’attività di antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo, è il trasferimento online di molte attività illegali. Le restrizioni alla mobilità individuale attuate nella fase acuta della pandemia hanno infatti accentuato lo sfruttamento del dark web, dei social media e in generale di piattaforme online per trasferire fondi, vendere prodotti illegali o attuare truffe“, ha aggiunto.

Sono 350, continua il direttore quantificando il fenomeno, le segnalazioni di operazioni sospette collegate all’emergenza ricevute dall’Unità tra la fine di febbraio e la metà di giugno 2020, alle quali si aggiungono quelle emerse dagli scambi con altre unità anti-riciclaggio straniere: “L’analisi delle segnalazioni – spiega – conferma l’emergere di anomalie nelle forniture sanitarie legate all’assenza di requisiti tecnici richiesti dalla normativa, all’incongruenza tra l’entità degli acquisti e la reputazione imprenditoriale dei fornitori, all’estraneità degli articoli venduti rispetto al settore produttivo di appartenenza”. Sono stati inoltre rilevati, in circa 250 segnalazioni, anomali movimenti di contante, spesso motivati da timori indotti dalle misure di contenimento e confinamento sociale, che possono però nascondere anche finalità illecite, fino al possibile coinvolgimento della criminalità e forme di usura.

Un settore, quest’ultimo, che ha conosciuto una forte spinta in seguito all’emergenza, vista “la crisi di liquidità in cui versano le imprese che le rende facili prede di acquisizioni della proprietà o del controllo soprattutto da parte della criminalità organizzata, che dispone di ampie riserve di fondi derivanti da attività illegali. Proprio le aziende, oltre alle famiglie, sono particolarmente vulnerabili anche alle proposte di prestiti usurai che possono diventare il mezzo per un successivo rilevamento dell’attività, agevolato dalle difficoltà di rimborso”.

Il direttore inoltre mette in guardia dai vincoli sull’attività dalla riforma del 2019 della disciplina antiriciclaggio che “ha, di fatto, ristretto la cerchia delle istituzioni tra le quali è ammesso lo scambio di informazioni in deroga al segreto d’ufficio. La scelta effettuata diverge da quella europea, orientata a rafforzare i sistemi di collaborazione tra autorità, a livello domestico e sovranazionale” e gli scambi informativi. “Poco coerenti – sottolinea – appaiono anche gli accresciuti vincoli che la stessa riforma del 2019 ha previsto per l’accesso della Uif ai dati investigativi e che di fatto precludono un effettivo utilizzo di tali informazioni nelle analisi dell’Unità e nello scambio con le controparti estere, con il rischio che il nostro Paese sia considerato, sotto questo profilo, inadempiente e di pregiudicare, a svantaggio anche delle indagini nazionali, i rapporti di collaborazione internazionale oggi particolarmente intensi”.

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