Un abuso d’ufficio più specifico e che in un certo senso “protegge” la discrezionalità del pubblico ufficiale. E una riforma a tempo del danno erariale che rende più pericoloso il “non fare” rispetto al fare: le omissioni e le inerzie saranno più facili da perseguire rispetto ai semplici errori. Il tutto con la possibilità che la sezione di controllo della Corte dei Conti nomini un commissario per ogni procedimento. L’obiettivo? “Accelerare la realizzazione delle spese di investimento“. C’è anche questo nelle bozze del decreto Semplificazioni. Sono 48 articoli, per il momento solo enunciati a grandi linee, che dovrebbero ridurre la burocrazia in modo da sbloccare i contratti pubblici e quindi favorire la ripresa economica dopo il coronavirus.

La spada di Damocle degli amministratori – Uno scopo che, evidentemente, per il legislatore non si può perseguire senza intervenire sulle norme che di solito rappresentano la spada di Damocle sospesa sul capo dei pubblici amministratori: l’abuso d’ufficio e il danno erariale. D’altra parte una riforma delle due fattispecie era contenuta anche nel piano per la ripartenza preparato dalla task force di esperti guidata da Vittorio Colao. Sarà per questo motivo se l’esecutivo di Giuseppe Conte ha inserito nel decreto Semplificazioni anche tre articoli che incidono sulle responsabilità del pubblico ufficiale. Come detto si tratta al momento solo di bozze che spiegano per sommi capi i cambiamenti previsti per le norme vigenti: trattandosi di modifiche del codice, dunque, bisognerà aspettare l’esatta formulazione degli articoli del decreto per comprenderne appieno il significato. E valutarne gli effetti.

L’abuso d’ufficio e la discrezionalità dell’amministratore – Fatta questa premessa, al momento si può ragionare sul fatto che l’esecutivo stia puntando a un abuso d’ufficio semplificato. All’articolo 17 della bozza, infatti, si prevede: “Sulla disciplina dettata dall’articolo 323 del codice penale“, cioè quello che disciplina l’abuso d’ufficio, si attribuisce “rilevanza alla violazione da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle pubbliche funzioni, di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”. Nella formulazione attuale l’abuso d’ufficio punisce la generica violazione di leggi e regolamenti. Il passaggio contenuto nella bozza del decreto, dunque, fa ipotizzare che in quella nuova si farà riferimento a condotte specifiche, previste dalle sole leggi ed atti aventi forza di legge. La parte più importante, però, sembra essere quella successiva, dove si specifica come si attribuirà “rilevanza alla circostanza che da tali specifiche regole non residuino margini di discrezionalità per il soggetto, in luogo della vigente previsione che fa generico riferimento alla violazione di norme di legge o di regolamento. Ciò al fine di definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso di ufficio”. Spiegato in parole povere vuol dire che nei casi in cui si prevede potere discrezionale del pubblico amministratore, quest’ultimo potrà beneficiarne senza correre il rischio di finire sotto inchiesta per abuso d’ufficio. Sembra una cosa ovvia ma non lo é: spesso, infatti, il potere discrezionale viene inteso in modo molto vago dalla legge e ciò porta il controllore – cioè l’inquirente – a intervenire. Sarà anche per questo motivo se i casi di abuso d’ufficio finiti con una condanna passata in giudicato sono meno del 20%. Ovviamente al netto dei “margini di discrezionalità” la condotta del pubblico ufficiale non dovrà essere viziata da abusi evidenti e non ci dovranno essere altri tipi di violazioni. Per fare un esempio se il sindaco di una città potrà decidere, secondo la legge, dove destinare le risorse per la ripresa, scegliendo a sua discrezione in quale ambito tali investimenti possono generare maggior beneficio economico, sarà essere “tutelato” da questo potere di discrezionalità anche in caso di denunce da parte di terzi. Mentre fino ad oggi bastava spesso un esposto, magari da un appaltante deluso, per far aprire un fascicolo con l’ipotesi di reato. Tutto questo ragionamento, ovviamente, vale in via teorica: molto, come detto, dipenderà da come sarà scritto materialmente l’articolo che va a modificare la norma del codice penale.

Il danno erariale: la riforma a tempo- Sempre più chiara, invece, la riforma del danno erariale che seguirà una sorta di doppio binario. Anche qui, come nel caso dei lavori senza gara fino a 5,3 milioni di euro, si tratta di una riforma a tempo: varrà fino al 31 luglio 2021. “La norma – si legge nelle bozze – chiarisce che il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica”. Cosa vuol dire? In diritto civile si distinguono due tipi di dolo: quello come vizio del consenso e quello come elemento psicologico del fatto illecito. Tralasciando il primo, il secondo è quello mutuato nel penale: e quindi solo sulla base del dolo come elemento psicologico del reato dovrà basarsi il controllo della Corte dei conti. “Inoltre, fino al 31 luglio 2021, si limita la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità al solo profilo del dolo per le azioni“. Tradotto significa che saranno perseguibili le ipotesi di danno erariale sono in caso di dolo, e quindi commessi in modo intenzionale. Gli altri casi, quelli colposi – cioè i reati commessi senza esplicita volontà – non saranno perseguibili. Ovviamente è molto più difficile dimostrare un fatto doloso da uno colposo: è per questo che alcuni avvocati definiscono questa bozza di riforma come una sorta di “rivoluzione copernicana” del danno erariale. Per fare un esempio: per portare a processo un pubblico ufficiale che assegna un finanziamento a un’azienda che non ha i requisiti per un determinato lavoro occorrerà dimostrare che quell’assegnazione è stata fatta volutamente e consapevolmente in assenza di requisiti. Il pubblico ufficiale sapeva e voleva commettere un danno erariale.

Rischia di più chi non fa rispetto a chi sbaglia – L’ombrello che esclude i reati colposi, prosegue la bozza del decreto non vale “anche per le omissioni, in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo“. È un altro passaggio fondamentale: chi evita di dare un affidamento per un mero errore o perché magari teme d’incappare in procedimenti andrà perseguito anche se si tratta di atto colposo, e quindi non volontario o comunque non finalizzato a compiere un illecito. Quindi sarà molto più facile finire nei guai per una pratica, un lavoro, un finanziamento, che non si è sbloccata per qualsiasi motivo. Una sorta di norma che incentiva il pubblico ufficiale a velocizzare il lavoro burocratico, sbloccando risorse senza temere eventuali ripercussioni nel caso di errori o irregolarità non volute. In caso contrario, come abbiamo visto, sarà più facile sanzionare l’inerzia del dipendente pubblico. Se fosse una questione di diritto penale sarebbe come considerare l’omissione di soccorso più grave dell’omicidio colposo. Si dirà: non ci sono profili d’incostituzionalità? Anche qui bisognerà attendere l’esatta formulazione dell’articolo di legge. In ambito amministrativo, però, il principio di costituzionalità è garantito dall’articolo 97 che prevede come i pubblici uffici siano “organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Una legge del genere non punta forse al “buon andamento” della pubblica amministrazione? È presto per dirlo, forse anche per questo motivo è stata pensata come una riforma a tempo.

I controlli: il commissario della Corte dei Conti – Un’altra critica che facilmente potrà essere sollevata sul decreto Semplificazioni è quella dei controlli. Con un abuso d’ufficio più leggero, con questa sorta di “rivoluzione copernicana” del danno erariale, è innegabile che le maglie della perseguibilità siano state allargate. E dunque chi vigila? All’articolo 16 della bozza si prevede un “controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare la realizzazione delle spese di investimento”. Di che si tratta? Di una sorta di “controllo concomitante, diretto a rimediare le disfunzioni, le inerzie e le devianze attuative che sovente si riscontrano nei procedimenti aventi a oggetto l’erogazione di contributi o il trasferimento di risorse a soggetti pubblici o privati destinati al finanziamento di spese di investimento. Il controllo riguarda gestioni sia di amministrazioni statali, sia di enti territoriali”. È il classico controllo dei magistrati contabili che spesso arriva dopo l’avvio dell’iter dei lavori. A volte pure quando i lavori sono ultimati o, in certi casi, sospesi. “La norma – prosegue la bozza – prevede anche il potere delle sezioni di controllo di nominare, previo contraddittorio con le amministrazioni e gli altri soggetti interessati, un commissario ad acta per la rimozione dell’inerzia”. È una sorta di risposta, dopo un’evidente mediazione, a quanto chiesto più volte dal Movimento 5 stelle, volevano un sistema con un commissario per ogni opera a garantire la legalità della ripartenza. L’esempio citato più volte dai 5 stelle è il “modello Genova”. A Genova, però, c’era da rifare soltanto un ponte: il rilancio dell’intero Paese dopo la crisi creata dal coronavirus è una questione un po’ più complessa.

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