Una spesa superiore al miliardo di euro per le missioni internazionali del 2020. Dal Libano all’Afghanistan passando per Kosovo, Bosnia Erzegovina, India e Niger, l’Italia ha previsto stanziamenti di 1,18 miliardi per la presenza di contingenti su vari fronti. È quanto emerge dai documenti della presidenza del Consiglio trasmessi in Parlamento, alla commissione Difesa della Camera, nelle ultime ore. Un impegno non solo in termini economici, ma anche umani: “Per lo svolgimento di tali missioni – si legge nella corposa documentazione – sono stati autorizzati l’impiego di un contingente massimo complessivo di personale delle Forze armate pari a 7.358 unità“. La vera novità, oltre alla conferma di pressoché tutti gli scenari più complicati in cui i militari sono tuttora impegnati, riguarda le tre missioni internazionali che si aggiungono: Libia, Sahel e Golfo di Guinea.

La missione Irini in Libia: 21,3 milioni per il combattere traffico di armi e tratta di esseri umani
La più rilevante, in termini di impatto, è relativa alla partecipazione alla missione “Irini” in Libia. Secondo la documentazione di Palazzo Chigi, firmata il 21 maggio scorso, si mira alla “gestione di crisi per contribuire a prevenire il traffico di armi nel teatro dell’operazione e nella zona di interesse” libica. L’operazione, inoltre, dovrebbe contribuire, tra le altre cose, “all’attuazione delle misure delle Nazioni Unite volte a contrastare l’esportazione illecita di petrolio dalla Libia” e a “smantellare il modello di attività delle reti di traffico e tratta di esseri umani, a norma del diritto internazionale”. Proprio per questo il contingente sarà chiamato a raccogliere informazioni sul traffico di armi, svolgere ispezioni non solo sul territorio libico, ma anche “al largo delle coste”, ed effettuare operazioni “per sequestrare e smaltire tali prodotti, anche al fine di deviare tali imbarcazioni e i loro equipaggi verso un porto adatto a facilitare tale smaltimento, anche mediante deposito e distruzione, con il consenso dello Stato di approdo”. La missione coinvolgerà 517 unità, un mezzo navale e tre aerei. Per un costo di 21,3 milioni nel 2020.

La task force “Tabuka” nel Sahel: 15,6 milioni per la lotta al terrorismo
La seconda missione ex novo riguarda il coinvolgimento nella task force “Tabuka”, voluta dalla Francia per il Sahel, in una zona – quella del Mali – in cui gli interessi dell’Eliseo sono molto forti. I militari italiani dovranno “supportare le forze armate e le forze speciali locali nel potenziamento delle capacità di contrasto alle minacce per la sicurezza derivanti da fenomeni di natura terroristica transnazionale e/o criminale”. Costo dell’operazione: 15,6 milioni per 200 soldati coinvolti.

Golfo di Guinea: 9,8 milioni per proteggere “gli asset estrattivi di Eni”
Fondamentale sarà anche la missione nelle acque del Golfo di Guinea, nata per ragioni economiche. Tra gli obiettivi, come si legge nella documentazione di Palazzo Chigi, c’è quello di “proteggere gli asset estrattivi di Eni, operando in acque internazionali”. L’operazione prevede l’impiego di 400 unità, due mezzi navali e due aerei per un costo complessivo di 9,8 milioni.

Alle nuove missioni si aggiungono i tanti scenari di guerra in cui l’Italia confermerà la propria presenza. In totale sono altre 42 missioni: 8 in Europa, 11 in Asia, 17 in Africa, cui si aggiungono 6 portate avanti con la Nato. Pienamente confermato è l’impegno in Afghanistan (per il quale, come riferito in un passato report dalla Rete per il Disarmo, sono stati spesi già dal 2001 oltre 6,5 miliardi di euro). Nonostante nell’autorizzazione alla missione del 2019 si parlasse di una “rimodulazione in senso riduttivo”, è stato confermato un contingente massimo di 800 unità e una spesa di 159 milioni di euro da qui a fine anno. Discorso simile per le missioni in Libano (1.076 unità e 150 milioni di euro) e in Iraq (1.100 unità, 12 aerei, 276 mezzi terrestri e una spesa di 262 milioni di euro). Non è peraltro l’unico impegno in corso sul territorio iracheno: parallela è la missione “Nato Training Mission”, per cui per il 2020 l’Italia prevede l’impiego di 46 unità. L’obiettivo, in questo caso, è diminuire la presenza degli Stati Uniti, divenuta sovraesposta dopo l’uccisione del generale iraniano, Qassem Soleimani.

Un impegno minimo è invece richiesto su un altro scenario di tensione: per l’Italia ci sarà un solo militare sul valico di Rafah, lungo la frontiera internazionale tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. In questo caso l’obiettivo è “assicurare la presenza di una parte terza al valico di Rafah, al fine di contribuire, in coordinamento con gli sforzi dell’Unione europea […] alla riapertura del valico stesso e a rafforzare la fiducia tra il governo di Israele e l’Autorità palestinese“.

Significative le operazioni guidate dalla Nato, orientate al controllo del territorio ai confini dei Paesi aderenti al Patto Atlantico. Accanto alla sorveglianza aerea (due missioni per un totale di 14 mezzi, 135 unità italiane e una spesa di poco inferiore a 20 milioni di euro) e a quella navale (259 unità, 2 mezzi navali e 16,2 milioni), in Lettonia saranno schierati 200 militari italiani, con 24,5 milioni di euro di costo complessivo, per un’operazione tesa a “dimostrare la capacità e la determinazione della Nato nel rispondere solidalmente alle minacce esterne lungo il confine orientale dell’Alleanza”. E quindi come sorveglianza della Russia.

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