Difficile che la proposta per un Recovery fund attesa mercoledì prossimo dalla Commissione europea superi per ambizione e “generosità” i 500 miliardi di euro da distribuire sotto forma di sovvenzioni previsti dal documento congiunto di Francia e Germania. Una cosa però sembra decisa: i fondi saranno spesi non a discrezione dei governi nazionali ma per finanziare programmi europei nei diversi Paesi, consentendo così un controllo da parte delle istituzioni comunitarie. È la previsione di Francesco Saraceno, docente a Sciences Po (Parigi) dove è vicedirettore del centro di ricerca sulle congiunture economiche Ofce. “Il confronto fatto in questi giorni tra quei 500 miliardi e gli ipotetici 1.500 del fondo che proporrà la presidente Ursula von der Leyen è ingeneroso”, spiega, “perché stando alle anticipazioni quello della Commissione sarà una sorta di nuovo piano Juncker con pochi soldi freschi e un grande effetto leva”. Dal canto suo l’economista, in un paper firmato con Andrea Boitani e Roberto Tamborini, delinea una terza via simile a quella ipotizzata dalla Spagna: un fondo per la ripresa da 1.500 miliardi raccolti totalmente con l’emissione di titoli perpetui e spesi in base a un programma definito e controllato dalla Commissione.

“La proposta franco-tedesca, per quanto ancora da definire nel dettaglio, prevede che la Commissione raccolga i 500 miliardi sul mercato favorita dal suo ottimo rating e con la garanzia del prossimo bilancio europeo pluriennale che andrebbe quindi potenziato“, sintetizza Saraceno. “I trasferimenti ai singoli Paesi sarebbero poi decisi sulla base dell’impatto della pandemia e veicolati, a quanto si capisce, attraverso programmi europei. C’è una grande innovazione perché la Germania per la prima volta apre alla mutualizzazione e accetta che vengano distribuiti soldi a fondo perduto e sulla base della necessità, non dei conferimenti”. Cosa che comporterà un sicuro svantaggio per grandissimi contributori al bilancio Ue come Berlino, mentre “chi vince sono i Paesi più poveri e più danneggiati dal Covid come la Spagna e chi sta a metà come l’Italia probabilmente non vedrà trasferimenti significativi se paragonati ai contributi che versiamo alla Ue”.

Al contrario, continua l’economista, “la Commissione a quanto ho visto si sta orientando su un piano Juncker bis. Stando a un documento preparatorio letto da alcuni eurodeputati il piano prende le mosse da soli 30 miliardi di soldi freschi che dovrebbero attivare un enorme effetto leva sul mercato diventando 300 e “chiamandone” 1.000 da privati”. Insomma: meno denaro fresco rispetto a quanto proposto da Angela Merkel ed Emmanuel Macron, “anche se molti hanno storto il naso dicendo che quei 500 miliardi non bastano”. In attesa di vedere se l’esecutivo europeo rivedrà i suoi piani alla luce della presa di posizione dei due maggiori Paesi membri, Saraceno fa notare che entrambe le proposte prevedono comunque che i soldi siano spesi attraverso programmi gestiti dalla Commissione. Un punto sfuggito al dibattito italiano, ma cruciale perché dovrebbe rassicurare i Paesi rigoristi preoccupati che le “cicale del Sud Europa” utilizzino male i soldi. Anche se per ora il fronte guidato da Austria e Olanda continua nel braccio di ferro mirato a evitare qualunque elargizione a fondo perduto.

Non a caso l’idea che i finanziamenti vadano veicolati attraverso piani di spesa concordati con l’Europa è anche parte integrante della proposta pubblicata in aprile dagli economisti Andrea Boitani e Roberto Tamborini sul sito della Friedrich Ebert Stiftung e ripresa in un intervento più recente firmato con Saraceno. “Rispetto al piano franco-tedesco aggiungiamo un solo elemento fondamentale: che l’indebitamento della Commissione sia fatto emettendo titoli perpetui. Sarebbero sicuri, con un rendimento assicurato magari indicizzato all’inflazione, e avrebbero quindi molto appeal per gli investitori istituzionali. Ma soprattutto, non dovendo mai essere ripagati toglierebbero dal tavolo la spinosa questione di chi debba garantire il debito: sarebbe sufficiente garantire il pagamento degli interessi con un piccolo contributo aggiuntivo al bilancio dell’Unione”. Così le “formiche” non dovrebbero temere di essere chiamate a coprire eventuali ammanchi causati dalle “cicale“. “In più, sempre per vincere le resistenze dei Paesi del Nord, i soldi verrebbero appunto spesi con il controllo dell’Unione come avviene oggi con i fondi strutturali. Un modo per uscire dal mefitico dibattito tra “frugali” e “spendaccioni” e cercare di superare la frattura Nord-Sud”. L’ipotesi dei bond perpetui, avanzata anche da Francesco Giavazzi e Guido Tabellini su lavoce.info due mesi fa, è parte integrante della proposta avanzata dalla Spagna a fine aprile.

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