Quello di Silvia Romano è solo l’ultimo di una lunga serie di dibattiti e duri scontri nati intorno alle figure di giornalisti, cooperanti, missionari, contractor o semplici turisti italiani sequestrati e poi rilasciati. L’attività svolta in luoghi spesso al centro di sanguinosi conflitti, le ipotesi sul pagamento di riscatti, le loro dichiarazioni e prese di posizione dopo la liberazione hanno spesso spaccato l’opinione pubblica italiana. Ma se per alcuni gli attacchi sono stati feroci, altri hanno potuto godere di un più rapido oblio.

Cupertino, Agliana e Stefio: i compagni di Quattrocchi
Tra i casi più noti degli ultimi 20 anni e tra i primi ad aver scatenato un dibattito a livello italiano c’è certamente quello di Fabrizio Quattrocchi e delle altre tre guardie di sicurezza private, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, finiti nelle mani di quella che si definì la Brigata Verde del Profeta, gruppo che operava sotto il cappello di al-Qaeda nel caos iracheno seguito alla caduta di Saddam Hussein. I tre compagni di Quattrocchi, che venne ucciso, furono poi liberati l’8 giugno 2004, a poco meno di due mesi dal rapimento.

Intorno al ruolo svolto dai quattro nel Paese si è poi sviluppato il dibattito post-liberazione. Contractor ingaggiati dalla coalizione anglo-americana o semplici guardie di sicurezza private? Il processo ai presunti reclutatori, che ha coinvolto come imputato anche Stefio, si è poi concluso con una piena assoluzione. Quando l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, decise di conferire a Quattrocchi la medaglia d’oro al valor civile, nel 2006, nacquero nuove polemiche nate da coloro che videro una disparità di trattamento rispetto ai caduti di Nassiriya e da chi criticava il fatto che il riconoscimento venisse dato a operatori di sicurezza privata, tornando a sostenere che si trattasse invece di membri di milizie paramilitari operanti nel Paese. Il Sunday Times pubblicò un’intervista in cui un cittadino iracheno sosteneva che fosse stato pagato un riscatto di circa 4 milioni di dollari, versione negata dal governo.

Il caso delle “due Simona”
Il contesto è sempre quello dell’Iraq martoriato dalla guerra seguita all’invasione americana, ma al centro del dibattito finirono le due volontarie della ong “Un Ponte per…” Simona Pari e Simona Torretta, sequestrate il 7 settembre 2004 dal gruppo islamista Ansar el-Zawahri e rilasciate 21 giorni dopo. Anche in questo caso, a far discutere fu la questione legata al riscatto, smentito dal governo, che secondo alcuni media si aggirava intorno ai 4 milioni di euro. Ma le polemiche si concentrarono anche sulla decisione di entrambe di continuare la loro attività di cooperanti, scelta che costò loro dure critiche da una parte dell’opinione pubblica e dei media.

Giuliana Sgrena e la morte di Nicola Calipari
Il 4 febbraio del 2005 venne rapita sempre in Iraq, a Baghdad, la giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena, che rimarrà per un mese nelle mani della Jihad Islamica, gruppo estremista operante in diversi Paesi arabi. In numerosi messaggi, l’organizzazione chiese il ritiro delle truppe dall’Iraq in cambio della liberazione che avverrà solo il 7 marzo e nel corso della quale perse la vita il funzionario del Sismi, Nicola Calipari. Anche in questo caso si parlò di un riscatto da 5 milioni di euro, sempre smentito dal governo, anche se le critiche nei confronti della giornalista nacquero soprattutto dopo i suoi primi racconti del rapimento nei quali Sgrena dichiarò di non essere mai stata maltrattata dai sequestratori. Nel 2006, poi, fu tra coloro che si oppose alla decisione di conferire la medaglia d’oro al valor civile a Fabrizio Quattrocchi. Posizione che le costò nuovi attacchi.

Torsello, l’italiano già convertito e rapito in Afghanistan
Il 12 ottobre 2006 e per 23 giorni, il fotoreporter Gabriele Torsello venne rapito in Afghanistan da un gruppo estremista apparentemente non legato ai Taliban che in cambio della liberazione chiese il rimpatrio di Abdul Rahman, afghano convertito al cristianesimo e accolto dall’Italia perché precedentemente condannato a morte per apostasia. Lo scambio non avvenne mai, ma il ritorno a casa del giornalista italiano, secondo il racconto di Gino Strada, fondatore di Emergency che ha un’importante rete di contatti nel Paese e che contribuì al rilascio, era legato al pagamento di un riscatto intorno ai 2 milioni. Torsello, secondo quanto raccontato dalla famiglia, viveva in Inghilterra e si era già convertito all’Islam prima del rapimento.

Mastrogiacomo, il giornalista per 14 giorni in mano ai Taliban
L’inviato di Repubblica venne rapito il 5 marzo del 2007 durante un trasferimento a Lashkargah per incontrare mullah Dadullah, figura di spicco dei Taliban. Ma arrivato sul posto venne rapito dal gruppo fondamentalista che lo tenne sotto sequestro per 14 giorni. Anche in quel caso, su pressioni del Governo italiano, l’allora presidente Hamid Karzai liberò quattro prigionieri Taliban in cambio della vita di Mastrogiacomo, anche se il fixer locale venne ucciso. La gestione delle trattative venne duramente criticata da alcuni Paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna.

Domenico Quirico e Pierre Piccinin, rapiti in Siria
Le polemiche nate dopo la liberazione dell’inviato della Stampa, Domenico Quirico, nel settembre 2013, a cinque mesi dal sequestro avvenuto in Siria per mano di una delle sigle che hanno caratterizzato la rivoluzione siriana, si sono concentrate, in una fase iniziale, soprattutto su due aspetti: un suo precedente rapimento in Libia, nel 2011, e la decisione di intraprendere il viaggio nel Paese, nel pieno della rivoluzione contro Bashar al-Assad, con un giornalista considerato da molti ambiguo per le posizioni espresse nei confronti del governo di Damasco e della Primavera siriana.

Venne criticata la sua decisione di tornare nei teatri di guerra, ma soprattutto la persona scelta per accompagnarlo. Pierre Piccinin, di nazionalità belga, aveva attirato l’attenzione negli anni precedenti soprattutto per le sue dichiarazioni di sostegno al regime di Bashar al-Assad, sminuendo le proteste di piazza, e il successivo appoggio proprio ai rivoluzionari, dopo aver dichiarato di essere stato incarcerato e torturato nelle prigioni del regime. Parole che gli sono costate le accuse di spionaggio da una parte dell’opinione pubblica, versione che ha dovuto smentire anche l’allora ministro degli Esteri di Bruxelles, Didier Reynders. Piccinin, in quel momento storico e a causa delle sue dichiarazioni, poteva essere considerato un bersaglio da tutte le fazioni in campo.

Ulteriori e più decisi, almeno in Italia, attacchi a Quirico sono arrivati quando lui stesso ha definito la Siria Il Paese del male in un libro pubblicato insieme a Piccinin in cui racconta i giorni del sequestro e in seguito a sue dichiarazioni in cui definisce l’Islam una “religione totalizzante e guerriera” per sua natura.

Greta e Vanessa, le due cooperanti ad Aleppo
Uno dei dibattiti più aspri registrati negli ultimi anni dopo la liberazione di cittadini italiani è quello nato intorno a Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti appena ventenni rapite ad Aleppo, in Siria, nell’agosto 2014 dall’allora Fronte al-Nusra, braccio di al-Qaeda nel Paese, e liberate il 15 gennaio 2015. Intorno a loro nacque una campagna politica e mediatica che arrivò a definirle “le stronzette di Aleppo”, andate là “solo per farsi i selfie”.

Chi si è accanito contro le due giovani ha insistito su diversi aspetti della vicenda. Il primo, che si fossero recate nel Paese con una ong non riconosciuta dal ministero degli Esteri. Ma soprattutto le loro foto durante dei cortei in cui si sono fatte immortalare con la bandiera dell’Esercito Siriano Libero, nemico sul campo del presidente Assad e intorno al quale orbitano anche fazioni integraliste, e l’ipotesi del pagamento di un riscatto. È stato Matteo Salvini a dichiarare che “se veramente per liberare le due amiche dei siriani il governo avesse pagato un riscatto di 12 milioni, sarebbe uno schifo!”. Parole che hanno alimentato la gogna sui social, con anche la creazione di fake news secondo le quali le due giovani avrebbero fatto sesso consenziente con i loro aguzzini.

Sergio Zanotti e i punti oscuri del suo viaggio in Turchia
È rimasto per tre anni nelle mani di presunti affiliati ad al-Qaeda e al suo ritorno anche lui, come Silvia Romano, ha dichiarato di essere stato “trattato bene”. Ma il suo caso non ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica come quello della cooperante milanese o di Greta e Vanessa. Questo nonostante le indagini dei pm che hanno cercato di ricostruire la vicenda, con punti che sono rimasti poco chiari. Il primo è quello relativo al suo viaggio in Turchia: “Ero disoccupato e avevo bisogno di soldi – ha dichiarato l’imprenditore una volta liberato – Da amici bresciani ho saputo che alcuni bulgari erano interessati a comprare dinari iracheni antichi. Con un milione di dinari avrei guadagnato tra i 12 e i 15mila euro”. Così ha preso un volo per Istanbul e si è poi spostato ad Hatay con un taxi, sostenendo che sia stato proprio l’autista a venderlo ai sequestratori che lo hanno portato in Siria.

Lui ha poi sostenuto che sia stato pagato un riscatto, anche se non ci sono conferme. Inoltre, dall’analisi dei video, gli investigatori hanno ritenuto le immagini “non genuine” perché lo studio dei luoghi fa pensare che l’uomo non si trovasse in Siria. Inoltre, gli esami relativi alla lunghezza della barba e dei capelli non apparivano coincidenti con il trascorrere del tempo. “Effettivamente in due o tre occasioni mi hanno fatto girare diversi filmati nello stesso momento, ma cambiando la situazione e gli abiti – ha poi dichiarato – Io non sapevo che cosa ne facevano, erano loro a dettarmi le frasi”.

Alessandro Sandrini: catturato in Turchia, era imputato per ricettazione e rapina
Anche Alessandro Sandrini, allora imputato per ricettazione e rapina, è finito nelle mani di un gruppo criminale dopo essere stato rapito in Turchia, dove si era recato per una vacanza. Secondo le rivelazioni successive al ritorno a casa, a operare per il rilascio è stata una fazione di miliziani siriani legati ad al-Qaeda. La banda che lo aveva rapito agisce a scopo di estorsione e per questo si è ipotizzato il pagamento di un riscatto da parte del governo italiano.

Luca Tacchetto e Edith Blais
Anche Luca Tacchetto, insieme alla compagna canadese Edith Blais, si trovava come Silvia Romano in una zona ad alto rischio, ma per intraprendere un viaggio nel Sahel. Ma nel suo caso, non si sono levate le critiche e gli attacchi che hanno invece colpito la cooperante milanese. Tacchetto è stato rapito insieme a Blais in Burkina Faso, nel 2018, e portato in Mali da un gruppo che, dal suo racconto, si è definito “vicino ad al-Qaeda”, molto attiva in quell’area. Anche lui, come Silvia Romano, al suo ritorno ha dichiarato: “Siamo stati trattati bene. Non ci hanno mai minacciato con le armi, mangiavamo tutti i giorni anche se poco”.

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